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elezioni Russia 2018

Elezioni Russia 2018: La Vittoria di Putin con il mio incarico di osservatore internazionale

  Lo scorso 18 marzo si sono svolte le elezioni presidenziali in Russia (Elezioni Russia 2018): un momento fondamentale per il Cremlino e per la politica internazionale, che ha dato spazio alla riconferma del presidente uscente Vladimir Putin. I sondaggi prevedevano la rielezione con ampi consensi (era atteso il 70% circa delle preferenze), ma i risultati sono andati ben oltre le aspettative, toccando quota 75,6%. Con questa schiacciante vittoria, il leader russo ha ottenuto il suo quarto e probabilmente ultimo mandato, ottenendo un incarico che durerà altri sei anni. Elemento di certezza su queste elezioni presidenziali in Russia è legato all’affluenza: nel 2016 per le elezioni parlamentari aveva votato il 60,1% degli aventi diritto; quest’anno, la percentuale dei votanti è stata del 63%. In occasione di queste elezioni mi è stato conferito l’incarico di Osservatore internazionale dell’Assemblea Federale Russa, ruolo che ho assunto con responsabilità e grande rispetto nei confronti del popolo Russo.

La mia giornata come osservatore internazionale alle elezioni presidenziali in Russia

Pubblicato da Fabrizio Bertot su domenica 18 marzo 2018
Come hanno testimoniato le riprese televisive, la giornata del voto è stata assolutamente tranquilla, e le operazioni di voto si sono svolte nella massima serenità in una situazione di rispetto dei principi democratici, dove un aria di festa ha pervaso l’affluenza della popolazione.

Quando i libri di storia scriveranno che il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin il 18 Marzo del 2018 è stato rieletto con il 75% di consensi potrò dire “io quel giorno ero osservatore internazionale a Mosca…io c’ero!”

Pubblicato da Fabrizio Bertot su domenica 18 marzo 2018
Si è rivelata del tutto impropria l’immagine della Federazione Russa che alcuni media internazionali hanno creato e diffuso in questi ultimi tempi: la storia bislacca degli avvelenamenti di un’ex spia russa in Inghilterra aveva infatti, in maniera del tutto inopportuna, convinto l’opinione pubblica che la Russia fosse uno Stato pronto ad uccidere le persone in giro per il mondo. Il mio ruolo ha pertanto contribuito a dare una visione reale di ciò che il paese è, grazie anche alla stessa Federazione Russa che ha voluto invitare osservatori internazionali provenienti da 57 Paesi. La vittoria di Putin, confermata da elezioni svolte in un clima democratico, rappresenta il giusto riconoscimento per un premier dalle indubbie qualità politiche che ha permesso al proprio paese di ritagliarsi un posto di prestigio nei massimi palcoscenici della politica mondiale, come ad esempio la gestione della grave e complicata situazione in Medio Oriente. Complimenti al nostro Presidente Mattarella che da uomo delle Istituzioni è stato uno tra i primi capi di Stato a congratularsi con il Presidente Putin.
Siria

La situazione in Siria: Israele è l’ago della bilancia

Secondo voci di intelligence, NetanyahuTrump e Putin stanno cercando di evitare ogni possibile scontro militare nei territori della Siria. Nonostante la situazione appaia molto critica, i leader di Usa, Russia ed Israele sono infatti d’accordo nel ritenere un conflitto diretto potenzialmente disastroso per tutti, con rischi troppo elevati. Sussiste, tuttavia, il problema dell’affidabilità delle fonti: non è ben chiaro cosa possa realmente succedere, e se a queste parole possano corrispondere realmente ai fatti. Pare però che le diplomazie stiano lavorando senza sosta e che gli scontri e gli spostamenti delle truppe mirino anche ad evitare che la guerra possa estendersi senza controllo. Israele ha più volte bombardato le milizie sciite di Hetzbollah finanziate dall’Iran, pressando Putin a costringere l’Iran ad abbandonare la Siria. Ora però non è più così sicuro di avere l’appoggio della comunità internazionale, e neanche di avere quella supremazia militare per poter affrontare il conflitto. Però, pare che l’Iran abbia rinunciato alla creazione di una base militare nel porto siriano di Tartus, notizia che ha fatto tirare un sospiro di sollievo anche agli altri Stati dall’area medio orientale. Osservando la situazione dall’esterno, pare che Trump e Putin siano intenzionati a puntare alla ricerca di una exit strategy che li allontani dalla guerra, e al contempo lavorano per rassicurare Israele. La Russia, in particolare, è ancora alla ricerca di accordi per assicurare una partnership strategica con l’Iran per il controllo dei territori medio orientali. La situazione si rivela però più complessa del previsto: il coinvolgimento della Turchia, impegnata contro le forze siriane, e delle milizie curde non fanno altro che complicare il quadro della situazione Siria, nella quale il ruolo di Israele potrà rivelarsi fondamentale. Nella recentissima visita di Netanyahu a Washington, Israele ha chiesto a Trump di proseguire la politica intrapresa di decertificazione dell’accordo nucleare Iraniano, chiedendo agli Usa una presa di posizione più decisa contro l’Iran.  
Mosca, successo a livello internazionale

I successi di Mosca in campo internazionale, grazie alla capacità di Putin

In questi ultimi anni la Russia è ritornata a ricoprire un ruolo da vera protagonista all’interno dello scacchiere internazionale, con un disegno politico abilmente creato dal presidente Vladimir Putin. Le capacità di governo del proprio leader hanno permesso di mettere in atto un sistema di controllo sui confini nazionali, creando una vera e propria “area di contenimento” che ha come perno il Mar Nero. Una serie di accordi con Ucraina, Grecia, Romania, Bulgaria, Turchia e Grecia garantisce oggi alla Russia una sorta di protezione da qualsiasi minaccia esterna. Con l’Iran, la Russia ha consolidato una cooperazione politica e militare che ha ribadito la potenza della regione del Medio Oriente sottraendola all’Arabia Saudita. Inoltre, l’introduzione degli accordi sul nucleare dei 5-1  tra Usa, Russia, Francia, Inghilterra, Germania e Cina, ha consentito all’Iran un’apertura verso i mercati europei, assicurando la sovranità allo Stato di Hassan Rouhani e creando un volume di scambi commerciali tali da consolidare le prospettive di sviluppo con quello che gli Usa ritengono, ancor oggi, uno “Stato canaglia”. Con la Turchia, Putin fu pronto ad accogliere le scuse ufficiali del presidente Ergoǧan sulle scelte avventate, da parte di Ankara, di abbattere il caccia russo Su-24 nel novembre 2015. In tal modo ha instaurato con loro una coalizione geo-economica e una proficua collaborazione politico-militare che ha messo sotto scacco la Siria. In tal modo la Turchia, che potrebbe in futuro puntare a riacquisire quelle aree perse con le Primavere arabe, si allontana dall’Europa e dall’Alleanza Atlantica entrando nella sfera euroasiatica di Mosca. La conferenza di Astana del 2017 tra Russia, Turchia, Iran, Siria e i ribelli ha segnato il definitivo trionfo di Putin e dei suoi alleati in Medio Oriente, isolando gli Usa, che hanno ricoperto soltanto un ruolo marginale.
Braccio di ferro Donald Trump - Kim Jong-un, con Putin nel ruolo di mediatore

Braccio di ferro Donald Trump – Kim Jong-un, con Putin nel ruolo di mediatore

Donald Trump e Kim Jong-un proseguono, a distanza, la continua prova di forza che continua a creare una tensione sempre più insostenibile. Mentre Kim mette in orbita il Kwangmyongsong-5“, un moderno satellite per lanciare i missili a lunga gittata; Donald annuncia nuove sanzioni ai funzionari nordcoreani che si occupano del programma missilistico. Il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha inoltre annunciato ulteriori sanzioni dettate dalla “strategia della tensione” che mira ad isolare la penisola coreana, fino a quando non sarà completamente denuclearizzata. Queste vanno ad aggiungersi a quelle annunciate dalle Nazioni Unite lo scorso venerdì, a seguito dei test balistici intercontinentali (i missili della Corea del Nord sono oggi in grado di raggiungere qualsiasi punto del territorio Usa). Le sanzioni recenti mirano a limitare l’accesso di prodotti petroliferi raffinati e petrolio grezzo, nonché dei guadagni dei lavoratori all’estero. Nelle ultime misure restrittive del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dello scorso 22 dicembre sono state inoltre inserite, tra le altre cose, il divieto di importazione di generi alimentari, apparecchiature elettriche, navi da trasporto, materie prime come legno e magnesite. La novità, in questa situazione, è invece legato al ruolo del leader russo Vladmin Putin, sempre più pronto a proporsi come mediatore in grado di ristabilire l’ordine e trovare un accordo Usa – Corea del Nord. Nel corso di una recente telefonata tra Washington ed il Cremlino, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha ribadito al segretario di Stato usa Rex Tilleson la necessità di ridurre la tensione tra i Paesi. Lavroc ha parlato di come la retorica aggressiva di Washington, e l’aumento della presenza militare nella penisola stiano innalzando la tensione, e questo non è accettabile; ha inoltre rappresentato di come, in questo momento, sia importante “passare dal linguaggio delle sanzioni a quello dei negoziati”. La Russia sembra dunque pronta ad una de-escalation della tensione, ma la volontà di voler mediare tra le parti, come dichiarato dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, implica che entrambe le parti siano disposte ad ascoltare ed accettare.

Ispezione Usa a Washington in locali diplomatici della Russia

Come se non bastasse la difficile situazione con la Corea del Nord, è pronta ad accendersi un’altra miccia nei rapporti tra Washington e Mosca. «Una perquisizione all’interno dei locali dei diplomatici Russi, senza la presenza di incaricati ufficiali Russi» spiega li ministero degli esteri di Mosca «è un’azione aggressiva senza precedenti». Soltanto pochi giorni fa, infatti, gli Stati Uniti hanno effettuati alcune perquisizioni presso il Consolato russo di San Francisco e l’ufficio commerciale dell’ambasciata a Washington, in aree ove vale l’immunità. La situazione è ulteriormente degenerata quando i locali, per ordine del governo americano, sono stati liberati dal personale russo. Nella nota di protesta russa si legge che Mosca teme che «le perquisizioni possano essere usate dai servizi d’intelligence statunitensi per organizzare un atto di sabotaggio antirusso, mediante l’introduzione illegale di oggetti compromettenti». In realtà, la tensione tra i Paesi è ancor più alle stelle: si tratta di una “guerra delle ambasciate” già in atto da Putin, che da tempo ha deciso di ridurre il numero degli impiegati delle sedi diplomatiche americane. Una vera e propria ritorsione, che aveva visto espellere ben 755 diplomatici Usa nello scorso luglio. Gli attriti nascono già da prima, quando il Cremlino era stato accusato di interferire nelle elezioni presidenziali americane. È evidente che i due presidenti, forti del loro carisma e dei loro interessi commerciali, siano i principali interpreti, assieme a Kim Jong Un, di un vero e proprio “puzzle geopolitico” che potrebbe, in futuro, cambiare le sorti del mondo. Soltanto pochi mesi fa, tra Russia e America – per bocca di alcuni ex-ministri, si parlava di un “impegno comune” nella lotta contro l’ISIS, di “evitare, in alcun modo, l’utilizzo di armi nucleari”, della possibile “creazione di un nuovo gruppo Nato-Russia per la gestione delle crisi”. Impegni che in alcun modo sono stati presi e che avrebbero potuto, in altri tempi, creare i presupposti per una fattiva collaborazione contro la crisi in Medio Oriente e in Corea.