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Isis minaccia il calcio, Russia 2018

Terrorismo islamico Isis minaccia i Mondiali di Calcio Russia 2018

Nonostante i recenti attacchi terroristici continuino a seminare il panico nelle grandi città europee, il califfato studia nuove strategie del terrore. Il Terrorismo islamico dell’Isis minaccia i mondiali di calcio Russia 2018, dopo il fallimento della propaganda e dello Stato Islamico, punta a creare il panico durante… i grandi eventi calcistici. Il calcio è diventato oggi un nuovo strumento di propaganda mediatica del Califfato, puntando alle minacce terroristiche per i prossimi Mondiali di Calcio in Russia, nel 2018, lo stesso Califfato ha l’intenzione di scatenare i lupi solitari che spesso sentiamo citati negli attentati che stanno insanguinando le capitali del mondo. L’idea non è sicuramente nuova: da anni, i grandi eventi sportivi hanno richiamato l’attenzione di terroristi e fanatici. Durante le Olimpiadi di Monaco nel 1972, un commando palestinese uccise undici atleti israeliani; nel 1996, ad Atlanta, l’attivista di Christian Identity Eric Rudolph ha piazzato un ordigno che, solo per caso, non ha provocato una strage. La minaccia di Al Qaeda nei mondiali di calcio nel 2006 e nel 2010 sono state sostituite, nel 2014 in Brasile, a avvisaglie legate ai problemi interni al Paese sudamericano; nel 2016, per le olimpiadi di Rio, sono arrivate le prime intimidazioni di una cellula dell’Isis in Brasile. Nei prossimi mondiali in Russia l’incubo terrorismo proviene principalmente dalle cellule jihadiste cecene, anche se l’Isis ha già minacciato il Paese ospitante in maniera ufficiale, diffondendo sul portale web Al Wafa Media un’immagine di Messi e Cristiano Ronaldo insanguinati, con scritte inneggianti a possibili azioni di violenza durante gli eventi sportivi. Immagini simili si sono diffuse anche su Telegram, strumento di propaganda molto popolare tra gli adepti del califfato. Le minacce non risparmiano nessuno: è il caso di Didier Deschamps, attuale CT della nazionale di calcio francese. Al Wafa Media ha diffuso un fotomontaggio che ritrae il tecnico transalpino prigioniero e sotto tiro dell’Isis, ritenuto colpevole di rappresentare la squadra di calcio di una nazione nemica dello Stato islamico, e di non aver convocato, negli ultimi anni, giocatori di origine magrebina. La popolarità del calcio amplifica le possibilità terroristiche dell’Isis in maniera esponenziale, se consideriamo il continuo susseguirsi di eventi calcistici (Campionato, Champions League e coppe) e il numero di tifosi che questo sport riesce a richiamare, anche in Italia.  Il mondo Occidentale continua a sottovalutare la minaccia costante del Terrorismo Islamico, cercando motivazioni diverse per non affrontarlo.

Strage a Las Vegas: 59 morti e più di 500 feriti

È successo ancora, l’ennesima strage di innocenti, e invece di definire le cose per ciò che sono, vale a dire un vile attentato terroristico, le istituzioni ed i media con molta cautela, maneggiano la matrice di questo grave episodio che ha colpito per ultimo gli USA.

L’attentatore, più semplice definire terrorista, fino a prova contraria chi compie un atto simile contro civili inermi può e deve essere definito solo così, è un uomo di 64 anni si chiama Stephen Paddock, dopo la strage si è ucciso, aveva con se 23 armi da fuoco. Come accade spesso in questi casi, e come spesso capita anche in Europa, subito si accenna a “presunti” disturbi psichiatrici del criminale, e si cerca sempre di non mettere in evidenza una matrice caratterizzante tutti questi criminali, ma ci arriveremo dopo.

Paddock era definito un allegro pensionato amante dei Casinò e del volo turistico, nessuno vuole però mettere in evidenza il fatto che come dichiarato in un comunicato dell’ISIS, questo uomo poco tempo prima si era convertito all’Islam, sarà un caso, forse ma se è vero che non tutti gli  islamici radicali sono terroristi, ultimamente possiamo dire che questo ragionamento non vale al contrario, tutti gli attentati terroristici hanno purtroppo sempre una matrice radicale islamica. Senza andare molto indietro, qualche giorno fa è accaduto a Marsiglia, e poi in Canada e ancora indietro a Barcellona, Parigi, Londra, Bruxelles o da decenni in Israele, dove la problematica con il radicalismo islamico viene continuamente tenuto sotto osservazione.

Oggi si ha la certezza della rivendicazione da parte dell’ISIS, che ha dichiarato esplicitamente che l’attentatore dell’attacco di Las Vegas è un suo soldato, Paddock come detto si era convertito all’Islam prendendo il nome di Samir Al-Hajib.

La polizia federale USA ha da subito definito Paddock uno squilibrato un “lupo solitario” volendo a tutti i costi escludere la pista radicale islamica. Ma questa sappiamo in molti è una strategia che ormai l’ISIS porta avanti da tempo, pensate agli attentati di Nizza, Berlino, faremmo un torto a dimenticarne qualcuno, ma sono troppi, e stiamo perdendo il conto, tutti lupi solitari nel portare avanti gli attentati ma rimangono lo strumento vincente rispetto ad un Occidente incapace di gestire questo grave fenomeno. Ciò che è necessario è essere coscienti che tutti noi, siamo in guerra per difendere i nostri valori, le nostre tradizioni, per combattere ancora una volta per i principi democratici per cui i padri fondatori dei nostri paesi hanno lottato e vinto.

L’Isis minaccia Roma, lancia un appello ai lupi solitari per colpire l’Italia

Ancora una volta l’ISIS mette nel mirino il nostro Paese, invitando i cosiddetti “lupi solitari” a colpire gli obiettivi strategici della nazione. L’allarme è stato lanciato dall’associazione americana Site che da tempo effettua un vero e proprio monitoraggio sull’attività jihadista online. A pochissima distanza dal devastante attentato di Barcellona, sul canale Telegram dei terroristi, veicolo di distribuzione anonimo di informazioni e messaggi, è stata lanciata una vera e propria dichiarazione di guerra, con un’immagine raffigurante un uomo che imbraccia un’arma guardando un monumento molto simile al Colosseo. La scritta in basso, tradotta, riporta: «devi combatterli o muwahhid», dizione che in arabo indica un salafita o un sunnita integralista. Inoltre, sullo stesso canale veniva comunicato apertamente che «dopo la Spagna e la Russia, il prossimo obiettivo è l’Italia». Oltre agli elementi raccolti da Telegram e dai social network, sono tanti i segnali che dimostrano come il nostro Paese sia un evidente bersaglio: l’Espresso ha recentemente pubblicato alcune intercettazioni telefoniche, legate ad un’inchiesta americana sull’attentato di Manchester. Le stesse evidenziavano la volontà di Mido, giovanissimo jihadista arrestato quattro mesi fa, che chiede, parlando con un americano di Dallas, se «sia arrivato il momento di attaccare l’Italia». Alcuni membri dell’antiterrorismo sono convinti che nel nostro Paese non sia ancora arrivato il momento degli attentati in quanto rappresenta un territorio “d’ingresso” verso l’Europa, e pertanto costituisce un’ottima base logistica per i militanti jihadisti. Tuttavia, la “tregua” potrebbe avere le ore contate. Fino ad oggi, l’Italia consentiva l’accesso ad un numero molto alto di musulmani, con possibilità, per eventuali attivisti e combattenti, di infiltrarsi sui barconi. Per assurdo, una eventuale azione dell’Italia nel voler tamponare le migrazioni, o limitare l’azione delle Ong, potrebbe accrescere l’odio nei confronti del nostro Paese. Chiari riferimenti all’Italia compaiono già dall’aprile 2016, quando in un video dal titolo “Combatteteli, Allah li punirà attraverso le vostre mani” i terroristi hanno inserito proprio il Colosseo.

Attentato a Barcellona, la guerra sarà lunga. Ma vinceremo noi contro il terrorismo Islamico!

L’attentato a Barcellona ha causato ben 100 feriti e 14 morti. Un bilancio drammatico, che dimostra ancora una volta come i nostri valori, e la nostra cultura, tramandati da secoli in tutto il mondo occidentale, siano davvero a rischio. Le bestie sono ormai sempre pronte a colpirci, nelle nostre città, durante i momenti di festa, solo per togliere il sorriso ai nostri bambini: dobbiamo purtroppo comprendere che sarà sempre così, ancora per molto tempo. Gli italiani morti sono due, Bruno Gulotta e Luca Russo, travolti dal furgone utilizzato per l’attacco sulla Rambla. L’autista, un uomo bianco presumibilmente con la camicia a righe, è scappato a piedi e, per il momento, risulta essere ancora in fuga: speriamo possa essere presto assicurato alla giustizia. A quello di Barcellona, un secondo attentato nella notte a Cambris, nella provincia catalana di Tarragona, ha evidenziato ancor di più le criticità di un vile attacco premeditato da piccole cellule terroristiche, pronte a colpire in luoghi affollati, senza fare alcuna distinzione tra donne, bambini o anziani. Fortunatamente, il bilancio di Cambris è meno pesante di quello di Barcellona, grazie al pronto intervento della polizia locale. Per chi ancora non avesse compreso stiamo vivendo in un vero e proprio scenario di guerra, da combattere contro coloro che ci odiano con tutte le loro forze. Odiano il nostro modo di vivere, il nostro pensiero democratico, le idee che facciamo circolare liberamente. Siamo in guerra, non dobbiamo mai dimenticarlo. E la guerra la vivremo sicuramente per diversi lunghi anni. Dobbiamo però avere la forza di difendere i nostri ideali ed i nostri valori. Dobbiamo farlo, per proteggere il sorriso di ogni bambino che continua a vedere scene di morte in televisione, che vede la gioia diventare improvvisamente dolore. Dobbiamo chiamare questi attentati con il loro nome, definendo con coraggio la matrice Islamica, che portatrice di odio contro tutti noi. La nuova guerra contro l’ISIS ed il terrorismo islamico in genere, iniziata ormai da qualche anno, deve essere combattute con la forza e l’impegno delle istituzioni, che devono essere sempre efficienti ed in grado di poter agire con i dovuti poteri; ma sarà determinante anche il contributo del singolo cittadino, che non dovrà mai mancare nel supportare chi lavora per la sicurezza. Solo così potremo vincere, e il mondo occidentale ed i suoi valori democratici, per cui abbiamo combattuto, potranno continuare a sopravvivere.

Strage di Bologna, alcune importanti rivelazioni sulla pista Palestinese

La Storia recente della Repubblica è macchiata da tanti punti oscuri, legati a vicende che, tutt’oggi, non hanno mai trovato risposta. Tra queste, il più grande attentato terroristico italiano dal dopoguerra, la strage di Bologna.   A distanza di quasi 40 anni, esistono ancora dubbi sulla completa verità di quanto accadde nell’estate 1980. Molti dei protagonisti delle vicende politiche, da Gheddafi agli esponenti dei Servizi Segreti, sono ormai passati alla storia; tuttavia, c’è ancora molto da chiarire.   Esistono dei documenti tutt’ora top-secret del centro Sismi di Beirut, custoditi presso il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir) che potrebbero riscrivere la storia di Bologna e di una delle pagine più oscure dell’Italia anni 80. Una verità che capovolgerebbe la realtà giudiziaria.   A distanza di 37 anni dalla strage, spuntano nuove clamorose prove sulla cosiddetta «pista palestinese», che lo Stato, e i Servizi Segreti, hanno ripetutamente occultato. Nei documenti si fa riferimento alla rottura del cosiddetto «Lodo Moro», stipulato segretamente tra gli 007 ed i Fedayn. Questi ultimi avrebbero evitato attentati in Italia, ottenendo in cambio il transito indisturbato di armi da destinare al terrorismo. Le indagini iniziano nel novembre 1979, quando i Carabinieri rinvengono e sequestrano in Abruzzo missili terra-aria di fabbricazione sovietica. Le indagini portano a Bologna, con l’arresto di Abu Anzeh Saleh, conosciuto anche dal Kgb e rappresentante in Italia del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Saleh è stato più volte coinvolto nei misteri legati ad alcune tra le più importanti pagine oscure della repubblica: fu infatti contattato dai Servizi Segreti Italiani affinché le Brigate Rosse mediassero con l’Olp per la liberazione di Aldo Moro. Tuttavia, ha negato ogni coinvolgimento palestinese nella strage di Bologna.   Secondo i documenti del Sismi, l’arresto dell’arabo residente a Bologna avrebbe violato il «Lodo Moro» ed aperto le porte all’attacco terroristico. Il transito delle testate missilistiche sequestrate era voluto dal leader libico Gheddafi, in accordo con l’Urss, ma il tutto fu tenuto segreto e lontano dall’inchiesta. Nel semestre precedente alla strage sono molti gli avvenimenti, citati nella documentazione top-secret, che dimostrano come l’evento di Bologna possa essere stato causato dal crescente malcontento dell’ala oltranzista dell’Olp nei confronti dell’Italia, colpevole di aver “violato i patti”. Cosa successe poi esattamente? Come si arrivò davvero alla strage? Perché, dopo l’esplosione, si cercò in ogni modo di depistare le indagini?   È il momento di alzare la testa, di affidarci, senza indugi, alla voglia di giustizia: finora, nessuno ha fatto richiesta al Copasir di poter consultare i documenti segreti, di poter riprendere le indagini, già archiviate, sulla «pista palestinese», di voler far luce sulla verità. È giunto il momento di aprire gli occhi. Restare in silenzio significa essere complici degli assassini, ed uccidere, ancora una volta, le ottanta vittime della strage di Bologna.