renzi e bankitalia

Renzi e Bankitalia, un vero salto mortale

Il caso Bankitalia si è rivelata l’ennesima dimostrazione di come Renzi ed il suo carrozzone siano a fine legislatura e tentino un tandem di avvicendamenti/prospettive di alleanza per ancorarsi, in qualche modo, al potere. Legge elettorale, legge di bilancio, Ius Soli, è evidente come un ex premier sia in prima linea pronto a sparare “fuochi d’artificio” privi di una vera logica di Governo, il dilemma Renzi e Bankitalia…risultano un vero salto mortale! Dopo l’attacco a Visco, persino Eugenio Scalfari di Repubblica è sembrato turbato ed ha addirittura consigliato a Renzi «la visita di un neurologo»; in realtà, per il segretario del PD è sembrata un’ipotesi logica, con la quale ha potuto evitare qualsiasi azione negativa da coloro che, in piena campagna elettorale, avrebbe potuto metterlo in cattiva luce. Con l’attacco a Visco, l’ex Premier è riuscito inoltre a rendere la vita difficile a Mario Draghi, che voleva evitare discontinuità a Palazzo Koch in un momento di evidente debolezza politica, ed al Premier Gentiloni, ora costretto ad assumersi le responsabilità di scelta, creando una situazione nella quale la propria autorevolezza sembra quasi messa in discussione proprio dal suo governo. La situazione creata con Bankitalia è stato, per Renzi, un vero e proprio salto mortale: con la legge dei 2005, il potere di proporre i nomi tra i quali scegliere il governatore è passato al Governo, e Gentiloni è ora costretto ad ascoltare il principale partito della propria coalizione, e la maggioranza, che chiedono proprio “discontinuità”, bloccando un meccanismo che coinvolgeva Bce, Quirinale e Palazzo Chigi.

Renzi e Bankitalia:

Nonostante la riconferma di Visco sembra tutt’oggi l’ipotesi più probabile (rumors dell’ultim’ora lo danno come riconfermato governatore per altri sei anni) il tentativo di Renzi è riuscito a metterne in discussione l’operato di Bankitalia, con evidenti buchi nell’esercizio di vigilanza sui tanti scandali bancari che si sono succeduti in questi ultimi anni. Tuttavia, un secondo mandato al governatore di Bankitalia attesterebbe la sconfitta renziana, minando la propria leadership all’interno del partito. È possibile che, per evitare ulteriori tensioni, Premier e Capo dello Stato ripieghino su un nome diverso comunque vicino a Palazzo Koch. Dopo Bankitalia, l’obiettivo del segretario del PD è probabilmente quello del proprio rilancio di immagine come uomo di sinistra con lo Ius Soli, che lo porterebbe comunque a mettersi contro le ire di tanti elettori. Un ennesimo salto mortale alla vigilia delle elezioni?
Il treno di Renzi

Il treno di Renzi: il carrozzone di una sinistra sull’orlo del baratro

Come nasce il Treno di Renzi...Siamo in campagna elettorale e, come da tradizione, il PD realizza l’ennesimo “carrozzone” alla ricerca di consensi, e di popolarità, in tutta Italia, si viaggia con le ferrovie

Il treno del PD “Destinazione Italia

Partito dalla stazione Tiburtina di Roma, è un Freccia Bianca, composto da cinque vagoni, che girerà l’Italia per discutere con gli elettori. A bordo, l’ex premier Renzi è accompagnato da Graziano Delrio, Matteo Richetti, Ettore Rosato e Nicola Zingaretti.

Il Treno di Renzi

Si tratta di un’idea davvero grottesca, quella di intraprendere un viaggio elettorale in treno, specialmente dopo che, nel 2001, la medesima idea portò davvero male a Rutelli, segnandone la disfatta. La gente si dimostra davvero stanca, e il “carrozzone” viene schernito ed insultato, assieme ai rappresentanti politici che intende promuovere. A Termoli, ed esempio, non c’era una gran folla ad attendere l’arrivo del treno; per evitare contestazioni, il treno è arrivato solo in tarda ora, e l’ex premier è addirittura arrivato in auto! Evitiamo di farvi vedere i fischi presi a Brindisi il 20 Ottobre, con una folla, che sembra lo insegua per insultarlo ad ogni sua tappa! Riproporre Renzi premier, dopo la recente sconfitta politica, si sta rivelando un pericoloso autogol: il PD appare invece miope e pronto ad incappare negli stessi errori del recente passato. Tra gli elettori, nessuno sembra più disposto a credere alle recenti promesse dell’ex sindaco di Firenze, dopo le dimissioni di dicembre 2016. È un’idea assolutamente malsana, quella ripresentare prima delle urne il vecchio premier sconfitto di recente, dopo che gli Italiani ne hanno sancito la mancanza di fiducia. E questo “carrozzone”, ennesima trovata del PD, sembra quasi un tentativo estremo di disgregare definitivamente la sinistra italiana, priva di un programma politico comune e di leader con idee politiche chiare. La Sinistra in genere ed ora il PD si è più volte dimostrato incapace nell’identificare e risolvere i grandi problemi del nostro popolo. Il Pd ha un buco da 9,5 milioni di euro e 184 dipendenti in cassa integrazione: è il buco creato dalla “campagna del Sì” dello scorso dicembre. Il treno è costato ben 400mila euro. Chi non è in grado di gestire le proprie risorse, come può governare quelle del Paese?
violenza degli immigrati in Italia

Violenza degli immigrati in Italia

In discussione il rapporto tra ordine pubblico e immigrazione, i fatti gravi di violenza degli immigrati in Italia, stanno creando disagio nella gestione della questione immigrazione. Mentre si avvicinano i giorni delle prossime elezioni, l’ennesimo episodio di violenza, collegato al fenomeno migratorio in Italia, trova posto sulle prime pagine dei giornali. A Lampedusa, cinque magrebini – identificabili quasi certamente in tunisini ospiti dell’hotspot dell’isola – avrebbero tentato lo stupro di una donna 50enne, nella propria abitazione, sulla strada che porta al centro accoglienza. La vittima, capendo ciò che stava per accadere, ha iniziato a gridare chiedendo aiuto e minacciandoli con un bastone, costringendo i cinque alla fuga. Da giorni il Sindaco di Lampedusa denuncia la mancanza di sicurezza sull’isola, incapace di garantire il normale ordine pubblico. Si segnalano diversi furti e molestie, tutti effettuati dai tunisini. Ed episodi simili, purtroppo, trovano riscontro su fatti accaduti in diverse città della penisola. Sono in molti a criticare la correlazione tra ordine pubblico e immigrazione, additandola come valutazione xenofoba e priva di fondamento. Tuttavia, le statistiche evidenziano come il problema immigrati sia strettamente connesso con il numero dei reati commessi nel Paese. Il GIORNALE ha riportato, soltanto qualche giorno fa, come quasi la metà dei detenuti nelle carceri della Capitale arriva da altri Paesi, ma di molti tipi di reati sono gli stranieri a detenere il record: il 55% dei furti con destrezza è loro”.  Si parla di sfruttamento della prostituzione e pornografia (51% del totale dei reati contestati), estorsioni (45,7%), furti in abitazione (45%) e ricettazione (41,3%). Il dato è sconcertante, se consideriamo che i cittadini stranieri in Italia sono solo l’8,3% della popolazione, ma realizzano quasi la metà delle principali attività criminali sul territorio. Si parla ormai di “specializzazione etnica” delle attività criminose: mentre i georgiani sono dediti abitualmente ai furti nelle case, i rumeni sono principalmente interessati alle clonazioni dei bancomat. La politica abbia il coraggio di analizzare questi dati, e di prendere atto che è davvero necessario prendere seri provvedimenti.

Un Referendum anche per il Piemonte

Il Referendum di Domenica 22 ottobre si preannuncia una giornata storica per la nostra Repubblica: il Referendum per la Lombardia e il Veneto potrebbe sancire, infatti, la volontà delle regioni di ottenere maggiore autonomia e maggiori poteri. Il paragone con i fatti di Catalogna è assolutamente fuori luogo: ai cittadini verrà chiesto, durante le consultazioni referendarie, se vogliono che la giunta regionale richieda allo Stato la possibilità di ottenere maggiore autonomia, tramite un’apposita procedura che passa dalla Corte Costituzionale. Il Referendum non sarà comunque vincolante, in quanto l’ultima parola spetterà comunque allo Stato italiano. Nulla a che vedere con le idee degli indipendentisti estremisti, che peraltro in Italia sono pochi e molto frazionati: il Referendum è invece una vera opportunità per poter avere la possibilità di gestire migliori risorse economiche. Da buon torinese, è mio dovere lanciare la proposta di un Referendum Day anche per il Piemonte: la mia terra natia, seconda regione italiana per estensione e sesta per numero di abitanti, avrebbe così l’opportunità di investire un importante numero di risorse regionali nella crescita e nella valorizzazione del territorio, creando i presupposti per la creazione di imprese più moderne e competitive.   In qualità di europarlamentare Forza Italia nella VII legislatura e di presidente della Fondazione Kian, ho avuto modo di comprendere come un utilizzo più razionale e localizzato delle risorse consenta di agire in maniera più agile e diretta sul territorio, gettando le basi per lo sviluppo di nuove realtà imprenditoriali e di nuovi posti di lavoro.  

“Se fossi cittadino lombardo o veneto, andrei sicuramente a votare Sí per permettere a quei territori di avere maggiori risorse da investire e per rendere le istituzioni e il sistema di impresa più competitivi sul piano della produzione e della creazione di reddito”.

  Se io fossi cittadino della Lombardia o del Veneto, il 22 ottobre andrei sicuramente a votare per il Sì: in tal modo, si avrebbero nuove prospettive e possibilità di sviluppo. Con l’autonomia di queste due regioni, alle quali vorrei aggiungere il Piemonte per le importanti zone economiche della regione, potrebbero diventare le locomotive per la crescita economica del Paese. I soldi dei cittadini non sarebbero utilizzati per coprire i buchi o le inefficienze del sistema burocratico locale, ma impegnati unicamente in crescita e sviluppo.

Strage a Las Vegas: 59 morti e più di 500 feriti

È successo ancora, l’ennesima strage di innocenti, e invece di definire le cose per ciò che sono, vale a dire un vile attentato terroristico, le istituzioni ed i media con molta cautela, maneggiano la matrice di questo grave episodio che ha colpito per ultimo gli USA.

L’attentatore, più semplice definire terrorista, fino a prova contraria chi compie un atto simile contro civili inermi può e deve essere definito solo così, è un uomo di 64 anni si chiama Stephen Paddock, dopo la strage si è ucciso, aveva con se 23 armi da fuoco. Come accade spesso in questi casi, e come spesso capita anche in Europa, subito si accenna a “presunti” disturbi psichiatrici del criminale, e si cerca sempre di non mettere in evidenza una matrice caratterizzante tutti questi criminali, ma ci arriveremo dopo.

Paddock era definito un allegro pensionato amante dei Casinò e del volo turistico, nessuno vuole però mettere in evidenza il fatto che come dichiarato in un comunicato dell’ISIS, questo uomo poco tempo prima si era convertito all’Islam, sarà un caso, forse ma se è vero che non tutti gli  islamici radicali sono terroristi, ultimamente possiamo dire che questo ragionamento non vale al contrario, tutti gli attentati terroristici hanno purtroppo sempre una matrice radicale islamica. Senza andare molto indietro, qualche giorno fa è accaduto a Marsiglia, e poi in Canada e ancora indietro a Barcellona, Parigi, Londra, Bruxelles o da decenni in Israele, dove la problematica con il radicalismo islamico viene continuamente tenuto sotto osservazione.

Oggi si ha la certezza della rivendicazione da parte dell’ISIS, che ha dichiarato esplicitamente che l’attentatore dell’attacco di Las Vegas è un suo soldato, Paddock come detto si era convertito all’Islam prendendo il nome di Samir Al-Hajib.

La polizia federale USA ha da subito definito Paddock uno squilibrato un “lupo solitario” volendo a tutti i costi escludere la pista radicale islamica. Ma questa sappiamo in molti è una strategia che ormai l’ISIS porta avanti da tempo, pensate agli attentati di Nizza, Berlino, faremmo un torto a dimenticarne qualcuno, ma sono troppi, e stiamo perdendo il conto, tutti lupi solitari nel portare avanti gli attentati ma rimangono lo strumento vincente rispetto ad un Occidente incapace di gestire questo grave fenomeno. Ciò che è necessario è essere coscienti che tutti noi, siamo in guerra per difendere i nostri valori, le nostre tradizioni, per combattere ancora una volta per i principi democratici per cui i padri fondatori dei nostri paesi hanno lottato e vinto.

Kurdistan, l’indipendenza è un plebiscito!

Grazie ai voti di cinque milioni di curdi in Iraq, il referendum per l’indipendenza del Kurdistan ha ottenuto il 91,8% dei voti. È una notizia storica, che ha trasformato la consultazione referendaria voluta dal presidente Masoud Barzani in una vera e propria festa. È una vittoria del popolo curdo, al quale va riconosciuto il diritto gestirsi con una nuova identità nazionale, valorizzando le proprie storiche tradizioni. Un popolo ambizioso, che ha saputo, da sempre, osteggiare l’ISIS contrastandolo in più occasioni. Le analogie con la possibile indipendenza della Catalogna sono evidenti; tuttavia, la situazione è decisamente più tesa. La crisi con gli Stati confinanti è in atto: le truppe irachene e quelle turche si ammassano lungo i confini. L’ISIS è alle porte e rimane una minaccia incombente.  Gli iracheni sono restii a vedere sottratta una parte del proprio territorio, in particolare la regione di Kirkuk, ricca di petrolio. L’intera regione appare destabilizzata con i curdi di Siria, Turchia ed Iran, che sostengono lo Stato autonomo, contro i governi locali. Il premier Barzani è contestato ed accusato di un’amministrazione macchiata da corruzione e nepotismo. I rischi di guerre e tensioni sono all’orizzonte: come nella Bosnia Erzegovina, tra etnie serba, croata e musulmana, e come già accaduto tante volte in tutto il mondo, con l’Unione Sovietica, la Repubblica federale jugoslava, la Cecoslovacchia o del Sudan. Tuttavia, i sentimenti di autodeterminazione e nazionalismo non vanno mai soppressi. Anche se l’augurio migliore che possiamo fare è quello che venga evitato l’uso della forza e la violenza, che potrebbe danneggiare il popolo curdo. I curdi hanno già un secolo di lotte: la loro posizione indipendentista non è stata presa in considerazione al termine delle due guerre mondiali, e tutto il ventesimo secolo è stato per loro un vero e proprio calvario, tempestato da scontri e massacri, come quello di Halabja, compiuto impunemente con le armi chimiche da Saddam Hussein nel 1988.

Catalogna Indipendente: merita di restare nell’UE?

La storia dell’indipendenza della Catalogna deve essere ancora scritta. Nonostante il pugno duro di Madrid, con la Procura che ordina alla polizia catalana di recintare i seggi evitare il referendum ritenuto dalla Spagna assolutamente illegittimo, restano comunque possibilità di dialogo tra le parti in causa. La regione di Barcellona può, e deve, tutelare la propria posizione indipendentista, anche se. le possibilità di vedere costituita una vera e propria Repubblica catalana rimangono assolutamente remote. Nonostante la legittima voglia di distinguersi dal resto della Spagna, la visione catalana appare assolutamente miope e caotica. Il 61% degli abitanti della regione è consapevole dell’illegalità stessa del referendum, e spesso le posizioni moderate vengono sopraffatte dall’estremismo e dall’indipendentismo. I Governi catalani hanno mostrato idee alquanto discutibili in tema di politica estera, in particolare della gestione dei flussi migratori: più volte si è mostrata estremamente favorevole ad accogliere, senza alcuna regola, i flussi di migranti. È una posizione decisamente anomala, che allontana la Catalogna dalle politiche europee in tema di migrazioni, e dalle comuni prese di posizione in tema di sicurezza ed ordine pubblico. Il recente attacco terroristico di Barcellona ha proprio dimostrato come la necessità di garantire la sicurezza nazionale sia oramai una priorità per ogni Paese dell’Unione Europea, che ha il diritto ed il dovere di esercitare un controllo dei migranti, ospitandone un numero utile previsto dalle normative. Un Paese Europeo, che guarda verso il futuro, deve avere una visione comune sugli obiettivi dell’Unione: l’immigrazione e la conseguente islamizzazione costituiscono un serio pericolo, sia per le diffuse posizioni estremiste di tanti esponenti, che per la lontananza con le tradizioni dei nostri Paesi, troppo spesso trascurate. La costituzione di un governo a Barcellona così fuori dagli schemi, privo di regolamentazioni e lontano dalle idee di Bruxelles, rischierebbe di essere una vera e propria mina vagante, causando veri e propri danni all’UE in tema di economia e politica estera. Con la presenza di una Catalogna indipendente, e con un Governo simile, sarebbe necessario discutere e valutare l’eventuale permanenza nell’unione europea. L’UE è fatta di regole, che devono essere rispettate da tutti per il bene comune.

Elezioni in Germania: un no all’immigrazione incontrollata

I risultati delle elezioni in Germania hanno fornito alcuni indicazioni davvero significative sul pensiero comune del popolo tedesco. Il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD) ha ottenuto il 12,6% dei voti e si è posizionato come terza forza politica del Paese, dopo il CDU di Angela Merkel e i socialdemocratici della SPD. Il partito si è classificato secondo in tutti i Lander della Germania dell’Est, e addirittura il primo nella regione della Sassonia, con il 27 per cento dei voti. Il risultato è sicuramente l’espressione del malcontento dei tedeschi di fronte all’operato del Governo Merkel e delle decisioni adottate in questi ultimi anni, tra le quali, in primis quelle delle politiche migratorie. Il candidato AfD, Alexander Gauland, ha dichiarato fermamente di voler «combattere la Merkel e chiunque sarà alla guida del Governo» precisando che «da oggi c’è un partito di opposizione nuove nel Bunderstag». La leader Alice Weidel ha già fatto sapere che intende istituire una commissione di inchiesta sui migranti, uno dei problemi che la Germania dovrà affrontare nell’immediato futuro. Per la Merkel una vera e propria batosta, che perde 8 punti. Non si è mai mostrata aperta verso il nuovo partito Alternativa per la Germania (AfD), classificando apertamente l’estrema destra come ostile, nazionalista, razzista ed incapace di partecipare attivamente alla vita politica del Paese. L’accusa di xenofobia è sembrata, anche agli occhi degli elettori, più che altro una manovra politica per mettere AfD in cattiva luce prima del voto. Il partito è invece riuscito nel suo intento, ottenendo consensi con idee chiare e precise. Alternativa per la Germania ha mostrato avuto successo nel riporre la dovuta attenzione alle radici della Chiesa luterana in Germania, convincendo anche gli over 40 e proponendo un programma politico forte e di tutto rispetto. Nel programma di AfD sono stati inclusi pochi punti, presentati in maniera chiara e concisa. Grande attenzione alla figura del politico, con una nuova regolamentazione per il finanziamento pubblico dei partiti e l’introduzione di limitazioni temporali e pensionistiche per chi governa. AfD mira a portare la democrazia diretta in Germania, per riconquistare la sovranità persa con le manovre della politica della Merkel. Preme per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e l’introduzione di referendum propositivi come già avviene in Svizzera. In tema di “euro e politica finanziaria”, il partito vuole abbandonare la moneta unica ed uscire dall’UE, per evitare di continuare a pagare i debiti degli altri Paesi. Viene sostenuto l’utilizzo dei contanti senza limiti e il ritiro dell’oro tedesco dalle altre nazioni. Meno burocrazia, meno tasse, ma pene più severe per gli evasori fiscali. In tema di sicurezza e politica estera e migrazione, si vuole riportare il Paese al centro delle decisioni più importanti. Nessun bisogno di organizzare un’armata europea, nessuna sanzione per la Russia, la Turchia fuori dall’Europa. Politica estremamente restrittiva in materia di immigrazione: i migranti sono visti come una minaccia, bisogna difendere i confini nazionali, con restrizioni al diritto di asilo e un no a ricongiungimenti familiari e la doppia cittadinanza. Per la sicurezza, il programma prevede il rafforzamento dei presidi di Polizia, e maggiori facilitazioni alla detenzione di armi, da parte dei privati, per la sicurezza nazionale. Un programma snello, preciso, che possa portare novità e spazzare le logiche della vecchia politica, lontana dalle promesse e dalle esigenze degli elettori. Domandiamoci perché per l’Europa la destra tedesca è vista come pericolosa ed ostile, forse riesce a rispondere in maniera efficace a ciò che i popoli oggi chiedono a dei Governi ormai incapaci di gestire le problematiche di un’Europa che rischia di scomparire a livello politico ed identitario.

Il futuro della nazione deve essere deciso da una classe politica competente

Con le prossime elezioni 2018, sta per iniziare una nuova stagione politica, che si rivelerà determinante per il futuro del Paese. Sono davvero tanti i nodi da sciogliere: il futuro della nostra economia, ed il legame, a volte controverso, con l’Europa di Bruxelles; la disoccupazione, vera emergenza sociale che interessa, in modo particolare, il meridione; l’immigrazione, che spesso viene identificata solo come problematica strettamente italiana quando, in realtà, i confini marittimi sono quelli dell’UE; l’ordine e la sicurezza pubblica, messa spesso a repentaglio in ogni città d’Italia. La classe politica italiana si è rivelata, in questi ultimi anni, incapace di governare, incompetente e faziosa nel tentativo di risolvere problemi interni, ed inconcludente nelle attività di politica estera. Gli uomini di Governo e le maggioranze parlamentari, per molti anni, sono stati diversi da quelli scelti dagli elettori. Hanno fallito le facce nuove della sinistra, con tante promesse, e tante parole, che non hanno trovato riscontro nei fatti. I nuovi partiti politici, così attenti a contestare ed a mostrarsi, volutamente, lontani dalle logiche di Montecitorio, sono incapaci di proporre politici d’esperienza competenti ed autorevoli, in grado di portare avanti programmi credibili. Non è più tempo delle “facce nuove”, di persone totalmente scollegate dalla realtà, incapaci di proporre soluzioni concrete; è il momento, invece, di proporre programmi politici: una vera e propria lista di idee e soluzioni per poter “rimettere in moto il Paese” rendendo competitivo il mondo del lavoro, valorizzando le nostre imprese e le nostre città. Soluzioni per riportare sicurezza sulle nostre strade, controllando il fenomeno migratorio. L’idea è quella di scegliere Berlusconi Presidente, l’uomo di grande esperienza che con le sue capacità politiche ed imprenditoriali è riuscito, negli anni di Governo, a proporre tante innovative soluzioni (Pacchetto Sicurezza, abolizione ICI, sostegno al reddito, pensioni) portando a termine tante riforme (Università, scuole, processo Civile, Pubblica Amministrazione). Chi è venuto dopo, non è stato in grado di fare altrettanto. Un nuovo Governo Berlusconi rimetterebbe lo Stato al servizio dei cittadini, introducendo una nuova economia di mercato ed una valida concorrenza per le imprese. Meno tasse e più lavoro; è questa la ricetta per ripartire. È quello che ci chiede ora l’Italia, non c’è altro tempo da perdere.

Gli impegni del nuovo Governo: economia e politica estera

Nonostante i media propongano dati che mostrino come l’economia italiana ed il lavoro siano ripartiti, la situazione è, in realtà, tutt’altro che confortante: la crescita dell’occupazione, in otto casi su dieci, è relativa a lavori a tempo determinato, che non consentono la creazione di nuovi nuclei familiari, di accendere un mutuo, di crearsi un futuro. Il divario tra il nord ed il sud dell’Italia continua ad aumentare, il meridione rimane indietro anche nella produzione e nell’esportazione. Il ceto medio si assottiglia e diventa ogni giorno sempre più povero. Il Governo Renzi è colpevole di aver alimentato il grave dissesto economico e sociale, certificato dall’Ocse, dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Istat, da Svimez, dalla Corte dei Conti e financo dalla Bce. L’Italia rimane, tra i Paesi dell’eurozona, quello con il tasso di crescita minore. L’Italicum ha disatteso le aspettative: c’è bisogno di riforme vere e di un disegno politico che possa sostanzialmente innovare l’economia italiana per “rimettere in moto” l’imprenditoria e il lavoro, troppo bersagliati da imposte di ogni tipo. Paghiamo ancora il fatto di avere a che fare con un fisco incerto, con una burocrazia opprimente e  con la mancanza di una vera programmazione che porterebbe alla definitiva affermazione di modelli di business (PMI innovative, produzione “made in Italy” di qualità, turismo online, solo per citarne alcuni) che potrebbero proliferare nel nostro Paese. L’idea dell’introduzione di una Flat Tax getterebbe le basi per la creazione di una nuova economia: la burocrazia sarebbe ridotta all’osso, lo Stato potrebbe finalmente riavvicinarsi alle persone ed alle famiglie, garantendo la possibilità di “fare impresa” e di lavorare con la certezza, in ogni momento, di sapere quanto effettivamente si stia pagando di tasse e quanto sia possibile mettere sul piatto per un sano bilancio familiare. È assolutamente indispensabile far governare una classe politica competente ed in grado di imporsi anche in Europa: c’è da prendere decisioni importanti in tema di politica estera. Se i precedenti Governi non si sono visti in occasione della crisi Greca, delle dannose sanzioni contro la Russia, quello attuale non sembra così preparato a contrastare fenomeni come immigrazione o terrorismo.