70 anni fa nasceva la Costituzione Italiana

70 anni fa nasceva la Costituzione Italiana

Il 27 dicembre 1947 il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola firma il testo che entra in vigore il 1 gennaio 1948

Settant’anni fa è stata approvata la Costituzione italiana. Non è sicuramente la “più bella del mondo” ma neppure la peggiore. Sicuramente ha garantito che non si uscisse dai binari della democrazia ma nello stesso tempo ha contribuito a far precipitare l’Italia nel caos della burocrazia. La scelta dei Padri Costituenti di affidarsi al sistema dei “pesi e dei contrappesi” ha fatto si che ciascuno si sentisse garantito è rappresentato ma di conseguenza ha dato origine al conflitto che vede spesso contrapposte le nostre istituzioni. Organi di controllo che si controllano tra di loro, organismi che minano l’indipendenza di altri organismi, istituzioni che si scambiano accuse reciproche di ingerenza. Sono tutti effetti collaterali di un sistema voluto settant’anni fa quando ancora non ci potevamo definire una democrazia matura. Ma una democrazia potrà mai dirsi matura se la Repubblica che l’ha adottata rischia di collassare per eccesso di burocrazia? Mi auguro che la prossima legislatura sia abbastanza “matura” per essere pragmatica e scevra di ogni pregiudizio per affrontare unitariamente tutte quelle riforme necessarie ad evitare quel tracollo italiano che troppi enti ed organismi internazionali hanno come loro obiettivo e che trovano terreno fertile nella fragilità e nell’inadeguatezza del nostro sistema.
Il PD è un Titanic pronto al disastro

Il PD è un Titanic pronto al disastro. Ma si pensa soltanto alle poltrone

È assurdo pensare che ci siano in giro esponenti del PD che si comportino come se stessero per raccogliere oltre il 40% dei voti, mentre negli ultimi sondaggi lo indicano come un partito in caduta libera, con una discesa ben sotto il 25%. Nell’ultima settimana, inoltre, potrebbe essere stata registrata una ulteriore caduta, con l’inevitabile nesso del partito con le vicende legate alle dichiarazioni rese davanti alla Commissione parlamentare di indagine sulle banche. Il partito di sinistra, storicamente in negativo sui problemi legati alle banche (dalle intercettazioni su Fassino del 2006 al crack del Monte dei Paschi di Siena nel 2013, legato al PD) è costantemente in difensiva e non ha le forze di attaccare gli avversari. Con problematiche simili, è pronto a scatenarsi… l’inferno. Il numero dei “pezzi grossi” che potrebbe rimanere fuori, dopo le prossime elezioni, è di circa la metà dei 283 deputati e dei 98 senatori attualmente presenti. Secondo art. 21 comma 3 dell’attuale statuto del PD, non è candidabile chi ha già ricoperto la carica per tre mandati. Tuttavia, in alcuni casi si ricorre ad una interpretazione più morbida e molto comoda. Andrea Orlando e Dario Franceschini non dovrebbero rischiare la poltrona grazie ad un accordo con Renzi sulla ricandidatura di Maria Elena Boschi. Ettore Rosato, capogruppo alla Camera, ha già tre candidature alle spalle, ma una è durata soltanto due anni, e per lui potrebbero aprirsi le porte per la riconferma; nella stessa situazione si trovano diversi renziani, come Emanuele Fiano. Molti i nomi illustri che rischiano di scomparire: il premier Paolo Gentiloni, Rosy Bindi, Marco Minniti, Roberta Pinotti, Anna Finocchiaro, Gianni Cuperlo, Teresa Bellanova, Luigi Zanda, Marina Sereni, Roberto Giachetti e Giuseppe Fioroni. Renzi ha già lasciato intendere che aprirà le porte ai più giovani, dunque tra i nomi degli esclusi troveremo sicuramente diversi personaggi eccellenti.
doppia cittadinanza sud tirolo

La doppia cittadinanza ai sudtirolesi; ma i rapporti con l’Austria?

Cosa succede se l’Austria “stuzzica” il Governo italiano, con la decisione di concedere la doppia cittadinanza italiana ed austriaca ai sudtirolesi di madrelingua tedesca e ladina? Secondo quanto dichiarato da Werner Neubar, responsabile della Fpoe, il partito di ultradestra austriaco attualmente al Governo, “i sudtirolesi potranno richiedere la cittadinanza austriaca a partire dal 2018 o, al più tardi, all’inizio del 2019”. La richiesta potrà essere effettuata “da chi si è dichiarato tedesco, o dai suoi familiari, e sarà completamente gratuita”. Dichiarazioni simili, fuori luogo e volutamente alla ricerca di inutili populismi, hanno ottenuto forti critiche dall’Ue. Il Presidente dell’Europarlamento Tajani ritiene che si tratti di  “una mossa velleitaria non distensiva” nei rapporti con Vienna; e l’idea ovviamente non piace all’Italia, che vede all’orizzonte la possibilità di dover affrontare nuovamente l’ambizione del Sudtirolo di tornare ad essere austriaco. L’idea del partito di Kurz nasce dalla promessa del leader del Partito Popolare Austriaco alla alla Südtiroler Volkspartei, che spingerà lo stesso leader, la prossima settimana, ad esporre il proprio programma a Bruxelles. Secondo il governo di Vienna, il 98% degli altoatesini aventi diritto è già pronto a presentare la domanda per la doppia cittadinanza, ed ha precisato che per loro non sarà comunque obbligatorio prestare il servizio di leva. Non sappiamo ancora se una mossa del genere possa aprire una nuova, pericolosa, stagione dei nazionalismi. Ciò che stupisce è, invece, l’assoluto silenzio delle istituzioni italiane contro decisioni che potrebbero mettere in discussione la sovranità nazionale. Michela Biancofiore di FI, intervistata, critica il silenzio del PD sull’argomento della doppia cittadinanza: «Non è che il governo tace sulla doppia cittadinanza per far eleggere Boschi e Del Rio in Trentino Alto Adige grazie alla Svp, visto che altrove li respingono?» chiede la Deputata. Sulla questione si è invece pronunciato il Ministro degli Esteri Angelino Alfano, in visita a Pechino, ed ha dichiarato che Sarà una discussione da affrontare con grande delicatezza. Il governo si è appena insediato e ne parleremo nei termini che sono assolutamente più coerenti con la nostra storia e con la tutela di quelle nostre popolazioni e di quei nostri concittadini che hanno sempre avuto una posizione molto chiara in merito“. La mossa appare più un’iniziativa per solleticare i fanatici nazionalismi austriaci, in quanto sussistono forti dubbi sull’effettiva fattibilità pratica della proposta. Bisognerebbe infatti giustificare il motivo per il quale si concede la doppia cittadinanza solo ai sudtirolesi, e non a chi vive in Ungheria o in Slovenia; e bisognerebbe estendere la cittadinanza a tutti gli italiani che dichiarano di appartenere al gruppo linguistico tedesco. Rimarrebbe aperto il problema di concedere il diritto di voto, con la creazione di apposite circoscrizioni estere; ed inoltre si agirebbe in violazione dei documenti Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) nei quali si precisa che “la concessione della cittadinanza in massa su base etnica è contraria ai principi internazionali e alle relazioni amichevoli tra Stati confinanti”.
Berlusconi è pronto a Governare elezioni 2018

Berlusconi è pronto a Governare, con ampi consensi anche dai leader Europei

Le recenti dichiarazioni di Berlusconi lasciano intendere grande sicurezza: nonostante la situazione politica manifesti incertezza, con forze politiche di sinistra, destra ed anche il M5S che tendono ad equivalersi, il gruppo di Centro Destra è quello più sicuro, compatto, pronto…Berlusconi è pronto a Governare. A Sinistra, la situazione appare disastrosa, con una possibile coalizione sempre più sfiancata e frammentata dal susseguirsi di sconfitte di Renzi all’abbandono di Grasso. Il Rosatellum richiede coalizioni strategiche: tuttavia, se la situazione politica si rivelasse particolarmente intricata, Berlusconi, con l’assenso del Quirinale, sembra essere disponibile ad una pausa istituzionale. Apparso in formissima nelle recenti apparizioni, Berlusconi ha risposto a Salvini, apparso furioso con FI per la mancanza di sostegno alla legge Molteni, che garantirebbe sconto di pena per i reati più gravi: Non dovete sopravvalutare i capricci di Salvini” ha voluto precisare il Cavaliere “quando ci si siede al tavolo è ragionevole e sa cambiare idea e non ho alcun dubbio sulla possibilità, come accadde con la Lega di Bossi dopo il primo momento nel ’94, di poter governare stabilmente per cinque anni“. Storicamente, Silvio Berlusconi è stato artefice di sorprendenti recuperi in campagna elettorale, trovando le giuste risposte alle situazioni politiche più complesse. Ha, ad esempio, volutamente mantenuto le distanze sulla vicenda che vede coinvolte le banche ed il sottosegretario Elena Maria Boschi, che sta scuotendo il PD: il ruolo del Cavaliere è in primis quello di evitare “toni strillati”, lasciandoli a M5S e Lega, che sicuramente non aiutano a creare stabilità politica del Paese. Inoltre, con la sua posizione moderata sulla vicenda, ha voluto creare un’immagine di responsabilità istituzionale e mandare messaggi tranquillizzanti all’Europa. I grandi leader europei ne apprezzano l’intelligenza politica e, nel recente incontro a Bruxelles per il vertice del Ppe e per la riunione del Consiglio europeo, ha ottenuto un’ottima accoglienza anche da Angela Merkel.
Gerusalemme capitale d'Israele

Gerusalemme capitale di Israele…Putin ne trae il maggior beneficio?

Non accennano ad attenuarsi le critiche nei confronti del presidente Usa Trump, che ha voluto spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme: l’idea di molti è che, terminata la guerra in Siria, gli Stati Uniti puntino ad alimentare nuovi focolai che possano evitare la stabilizzazione dell’area sotto l’egida di Russia ed Iran. Il ruolo di Trump è quello di un mediatore in una situazione davvero difficile: si trova davanti ad evidenti squilibri già lasciati dall’era Obama, e prova ora a rilanciare il ruolo di una malconcia Arabia Saudita come mediatrice di futuri accordi tra Stato Ebraico e Palestina. Dobbiamo considerare che proprio nel giorno della presa di posizione di Washington su Gerusalemme, Putin annuncia a sorpresa il ritiro delle truppe in Siria. La presa di posizione del presidente americano può dunque soddisfare entrambe le parti: la vittoria russa in Siria, e la soddisfazione americana per Israele. Già nel 2015, Netanyahu aveva ipotizzato un piano con Mosca, scavalcando Obama che gli aveva remato contro durante le elezioni politiche: Israele chiedeva delle garanzie alla Russia, considerando la presenza ed il controllo di Hezbollah milizia libanese filoiraniane presente ora in Siria oltre che al Sud del Libano, un nemico dichiarato dello Stato ebraico. L’impegno di Putin non ha soddisfatto però Israele il quale, dopo le vicende legate alla guerra in Siria, aveva visto nascere un pericolo asse sciita tra Libano ed Iran, ed il deterioramento dei rapporti con Turchia ed Egitto. L’annuncio di Gerusalemme Capitale, completa l’ultimo tassello di una difficile situazione politica, nella quale si rafforza l’alleanza tra Usa e Stato Ebraico, a distanza però il rapporto tra Russia e Israele rimane stabile e rassicura in parte lo Stato ebraico contro l’Iran, che vede accrescere il proprio potere grazie alla vittoria di Assad in Siria. L’intesa tra Trump e Putin è evidente, con una mossa diplomatica che conferma il successo del russo nei rapporti diplomatici e nell’organizzazione dei nuovi assetti in Medio Oriente. Ma per Washington meritano di essere evidenziati dei grossolani errori di valutazione, che proseguono in medio oriente da oltre quindici anni e che, a lungo termine, avvantaggeranno Mosca. In particolare:
  • la vicenda allontana gli Usa, in particolare Trump, dalle politiche Ue, sempre più in contraddizione con il politico newyorkese: Trump recita di nuovo il ruolo del guerrafondaio impulsivo, lasciando diversamente a Putin  il ruolo di mediatore e di pace;
  • l’idea di Gerusalemme capitale è una vittoria, seppur simbolica, per Israele, che però fa comodo anche a Putin, in cerca di stabilità, anche se in una prima fase questa scelta protrebbe sembrare destabilizzante;
  • la Turchia, fredda nei rapporti con Israele, è sempre più filo-russa, così come gli altri Paesi del mondo arabo.
Politica energetica Italia

La politica energetica in Italia deve essere una priorità

L’incidente all’impianto di gas, in Austria, ci ha posto evidente la necessità di una politica energetica in Italia più efficace. Ci offre la possibilità di alcune importanti riflessioni in materia di politica estera e, soprattutto, in tema di energia. Il problema è stato evidente, in quanto ha bloccato la distribuzione di metano in Italia, che è ripreso soltanto dopo diverse ore. L’impianto di distribuzione del combustibile a Baumgarten an der March, dove è avvenuto l’incidente, è un vero e proprio “snodo europeo” di gas e gestisce, tra l’altro, il flusso di metano con il gasdotto Tag (Tag Austria Gas Pipeline) nel nostro Paese. È bastato uno sciagurato episodio per far dichiarare lo stato di emergenza al ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che ha ribadito l’importanza del Tap (gasdotto trans-adriatico, tutt’oggi in costruzione, che porterà gas dalla Turchia in Puglia attraversando Grecia ed Albania), quale alternativa all’approvvigionamento di gas. Nonostante le riserve possano contenere 12 miliardi di metri cubi di gas, è stato registrato, nella giornata di ieri, ad un forte aumento dei prezzi all’ingrosso del prodotto energetico. L’Italia è un grandissimo importatore di energia, e la politica energetica dovrebbe necessariamente essere una vera priorità ed accompagnare ogni aspetto della nostra politica estera. Se non siamo in grado di essere autosufficienti nella produzione, dobbiamo quantomeno valutare ogni possibile soluzione per evitare problematiche legate alla mancanza di approvvigionamento, anche momentanea. In Italia oltretutto siamo sempre pronti a generare polemiche su qualsiasi prospettiva di crescita, come ad esempio Il TAP, gasdotto in costruzione proveniente dal Mar Caspio, che pur in fase di lavori avanzati continua ad essere oggetto di critiche, o come anche per il progetto South Stream, che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un nuovo impianto per connettere Russia ed UE eliminando l’attraversamento dei Paesi extracomunitari, abbandonato a causa delle sanzioni europee contro Mosca. Con il South Stream o con il TAP che è in fase di avanzamento, in maniera pratica si può evitare ogni problema legato alla fragilità dei sistemi di fornitura di prodotto energetico.
Gerusalemme Capitale di israele

Gerusalemme è la Capitale di Israele: è la Storia a dirlo

Trump decide di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, con un annuncio ufficiale, che ha riscontrato numerose critiche e contestazioni da parte dell’Autorità Palestinese e da altri paesi. La faccenda era già stata annunciata al Presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen ed è stata resa ufficiale con un annuncio che ha destato non pochi problemi, ma perchè tante polemiche quando tutti sappiamo che Gerusalemme è la Capitale di Israele? Con questa decisione, Trump e gli Usa riconoscono, di fatto, Gerusalemme come capitale di Israele: i palestinesi hanno annunciato “3 giorni di collera” ed hanno invitato i palestinesi come tutto il popolo arabo sparso in tutto il mondo a raccogliersi nei pressi delle ambasciate per manifestare il proprio dissenso. La situazione è molto tesa, è a rischio, anche l’incolumità dei diplomatici statunitensi, e quella dei propri familiari in tutti i paesi arabi, dove sono iniziate delle proteste davanti alle sedi diplomatiche USA. La preoccupazione coinvolge ora eventuali reazioni anche da parte della lega araba, che è contraria ad ogni iniziativa che possa portare ad un possibile cambiamento dello status giuridico e politico di Gerusalemme, e che tale scelta possa influenzare i negoziati sul conflitto tra Israele e Palestina. Per Trump Gerusalemme è la capitale di Israele: perché criticarlo? Gerusalemme è, di fatto, la capitale di Israele: non è l’uomo Trump poterlo decidere oggi, ma semplicemente la storia. Negare questo ruolo alla città giudaica significa negare la storia, usi e costumi dell’intera regione, che ha una tradizione antichissima di grandi civiltà. Trump di fatto ha dato seguito concreto ad un atto del Congresso USA risalente al 1995, che mai nessun Presidente per ambiguità ha voluto rendere risolutivo. Nel 1948 il presidente americano Truman fu il primo, tra i leader mondiali, a riconoscere lo Stato di Israele; oggi Trump ha voluto correggere un “errore storico”, riconoscendo alla città di Gerusalemme il ruolo di capitale della nazione di Israele. Trump ha spesso preso decisioni forti, ma mai sicuramente illogiche: soltanto un anno fa, aveva sostituito l’ambasciatore uscente con l’avvocato David Friedman, ed ha deciso sin da subito di prendere le distanze dai suoi predecessori in merito alla questione Israele. Troppo spesso le proprie decisioni sono state apertamente criticate ed è stato considerato impropriamente come un fanatico guerrafondaio, ruolo che forse sarebbe calzato di più a qualche suo predecessore. Non è mai stato un fanatico del “politically correct” poiché, probabilmente anche a causa dei trascorsi imprenditoriali ed economici, è sempre stato uno che punta ad un obiettivo preciso senza girarci troppo intorno. Le “primavere arabe” hanno creato guerra e tensioni che hanno interessato il Medio Oriente e l’Africa Settentrionale causando, tra l’altro, il problema dei flussi migratori verso l’Europa, con cui oggi ci troviamo a dover convivere. È ora di dire basta, e di prendere decisioni importanti e puntuali, proprio come ha fatto oggi il Presidente degli Stati Uniti d’America.
tassazione insostenibile serve flat tax

Abbattiamo la tassazione insostenibile: la flat tax

La vera priorità del Paese è indubbiamente una tassazione insostenibile, serve una flat tax,  è urgente introdurre una profonda riforma fiscale, che possa consentire la ripartenza della grande e della piccola impresa, così da poter creare nuovi posti di lavoro e garantire una crescita economica adeguata alle effettive potenzialità della nazione. Negli Stati Uniti, Trump è riuscito in breve tempo a rendere operativa una riforma fiscale da 1500 miliardi di dollari, partita dal taglio delle tasse ad imprese e persone, con l’abbattimento delle aliquote alle imprese dal 35% al 20%. In Italia, la nostra prerogativa non può che essere analoga: la riduzione di tante tasse e balzelli, con l’introduzione di una unica flat tax: un’imposta fissa, assestata intorno 20%, che possa rivoluzionare il nostro sistema economico e rendere più sostenibile il carico fiscale. Pagare di meno, pagare tutti, pagare una sola tassa con la certezza di non sbagliare sull’entità del versamento. Nel mio impegno politico ho inquadrato delle azioni da fare in un corretto programma di Governo. In Colombia, è stata introdotta una flat tax al 20% e sono state eliminate iva e dazi doganali per favorire importazioni ed esportazioni. Le imprese hanno reagito investendo 400 milioni di euro, con un interscambio commerciale che è lievitato a 1,3 miliardi di euro l’anno, toccando cifre superiori a quelle dei Paesi europei molto più sviluppati economicamente. La Colombia secondo il Global Competitive Index, ha un altissimo indice di stabilità ed un rating superiore a quello italiano. In Colombia hanno investito Tenaris, produttrice di tubi, ma anche Enel, Lavazza e Pirelli. Tra le italiane, sono anche presenti Fca, Iveco, Piaggio, Saipem, Salini Impregilo, Illy, Ferrero, Cirio, Barilla, De Cecco, Generali: imprese che forse, con adeguate condizioni fiscali, potrebbero creare qui in Italia migliaia di posti di lavoro, senza avere la necessità di delocalizzare all’estero. Berlusconi propose la flat tax già nel 1994 e ci lavoro con l’esperto di economia Antonio Martino, allievo ed amico del premio Nobel Milton Friedman; tuttavia, gli alleati di allora vanificarono gli sforzi e non fu possibile mettere in atto il progetto. Stavolta la situazione è diversa, perché in tanti sono convinti che rivoluzionando il fisco si possa riportare l’Italia nella posizione economica che davvero merita. Finché non si riuscirà ad intervenire in maniera energica per l’abbattimento della tassazione insostenibile, è illusorio pensare che l’Italia possa ripartire.
Convegno sul valore dell'italia per la fine delle sanzioni tra Russia e UE - Fabrizio Bertot

La strada per la fine delle sanzioni tra Russia e UE passerà dall’Italia?

“Il ruolo dell’Italia nei rapporti tra Unione europea e Federazione russa. La strada per la fine delle sanzioni tra Russia e UE passerà dall’Italia. È questo il titolo del convegno che si svolgerà a Roma, il 5 dicembre alle ore 10.00, presso l’Ufficio in Italia del Parlamento europeo in via IV Novembre, 149.

Il tema è cruciale poiché le relazioni tra UE e Russia attraversano uno dei momenti più difficili della storia recente. Com’è noto, dal 2014 l’Unione europea ha applicato una serie di misure restrittive, di varia natura e inaspritesi nel tempo, nei confronti della Federazione russa che a sua volta ha risposto con controsanzioni di tipo economico. Obiettivo dell’incontro è discutere e valutare la possibilità, dopo la primavera 2018 che è la data prevista sia per le elezioni politiche in Italia sia per le elezioni presidenziali in Russia, di porre fine alle sanzioni reciproche che hanno congelato e compromesso gli scambi commerciali, l’import nei rispettivi mercati e le tradizionali buone relazioni tra la Russia e i principali Paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia. 

All’incontro, organizzato dall’On. Fabrizio Bertot, europarlamentare Forza Italia nella VII legislatura e Presidente della Fondazione Ki An, interverranno i vertici italiani e russi delle principali istituzioni interessate: Mikhail Starshinov, Vicepresidente della Commissione Affari Interni della Duma di Stato russa, il Sen. Maurizio Gasparri, Vicepresidente del Senato, il Sen. Lucio Malan, Questore del Senato e membro della III Commissione permanente Affari Esteri del Senato e Deborah Bergamini, Vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati e Vicecapogruppo PPE al Consiglio d’Europa.

Renzi critiche da Marchionne

Renzi alle corde dopo le critiche di Marchionne

Anche le personalità più influenti dell’industria italiana si allontanano da Renzi, come nel caso del top manager Sergio Marchionne, storicamente molto vicino all’ex-premierI tempi in cui la Ferrari di Marchionne flirtava con il PD di Renzi appaiono lontanissimi: soltanto il 4 gennaio 2016, Marchionne, in occasione della quotazione della casa di Maranello a Milano, ringraziava pubblicamente il politico toscano per il proprio lavoro (poi ovviamente si sono visti i disastrosi risultati) e lo difendeva dalle critiche. Nella presentazione dell’entrata dell’Alfa Romeo in Formula 1 della scorsa settimana, il Marchionne ha invece mostrato evidenti segnali di rottura con il segretario del PD.  «Renzi ha perso qualcosa da quando non è più premier, ma questo è normale»; ha poi ribadito: «se si sia comportato bene o meno non saprei nemmeno dirlo: so che la sinistra sta cercando di definirsi come identità, è piuttosto penoso. Spero che si ritrovino». La mancanza di professionalità e di etica di questa sinistra, proprio alla vigilia delle elezioni, ha destato evidenti perplessità anche all’interno di Fca (Fiat Chrysler Automobiles), che è “decisamente filogovernativa”, come dichiarato dallo stesso dirigente; Renzi mostra oggi di non avere non soltanto più i numeri, ma neanche un’idea di come riconquistare la fiducia di tanti che, in passato, lo hanno ascoltato, e che oggi invece lo criticano apertamente. Soltanto pochi giorni fa, un’altra figura di riferimento Fiat, Lapo Elkann, ne aveva preso le distanze. «Si piace troppo, e questo è pericoloso per lui e per noi. È più provinciale di quanto sembra. Renzi non è un Macron, molto più preparato di lui: è un Micron. Meno personalismo e meno egocentrismo; meno voler parlare di tutto e di niente.» aveva dichiarato Lapo a 8 e mezzo, la trasmissione di La7 condotta da Lilli Gruber. Sembrano solo dei titoli di coda di un rapporto ormai logoro, fatto forse di accordi mai definiti o piani mai portati a termine. Marchionne, ieri, intervistato al Museo Alfa Romeo di Arese, ha voluto comunque precisare che vorrebbe « qualcuno che gestisca il Paese e una tranquillità economica nel contesto in cui operiamo; sono cose essenziali»; e che «non so nemmeno se l’ex presidente del Consiglio si ricandidi. Mi sembra invece che Silvio Berlusconi si ripresenti…»