Obiettivo economia: ripartire dalla Flat Tax

Nonostante le difficoltà che, su più fronti, coinvolgono il nostro Paese, il primo pensiero è sicuramente quello della nostra difficile situazione economica: una vera e propria sfida, che deve essere affrontata con metodi innovativi e rivoluzionari. Le famiglie italiane non riescono ad avere i soldi per poter creare un futuro per i propri figli, poter vivere nel benessere quotidiano e perfino poter acquistare beni di prima necessità. Il tasso di disoccupazione è sempre più alto, e le imprese chiudono a causa della mancanza di lavoro e dell’enorme pressione fiscale. L’idea di introdurre una Flat Tax è semplice e, allo stesso tempo, geniale: cestinare l’intero sistema italiano, composto da leggi impositive farraginose e incomprensibili, detrazioni e deduzioni, ed inserire un’unica aliquota del per persone e aziende. La Flat Tax come noi la intendiamo deve attestarsi tra il 15 ed il 25% del reddito. Con la Flat Tax ognuno, sia esso persona fisica o giuridica, pagherà una percentuale come sopra indicata, di quello che guadagna, senza alcun calcolo o tassazione extra. Già introdotta, con successo, da diversi Paesi dell’Est Europa, la Flat Tax porterebbe ad una serie di interessanti vantaggi:
  • semplicità nella tassazione: ognuno sarebbe in grado istantaneamente di conoscere l’importo delle tasse da pagare, più basse di quelle attuali. L’amministrazione finanziaria sarebbe meno impegnata nel dover controllare, ogni anno, deduzioni e detrazioni;
  • La riforma dell’Irpef e alcuni istituti di welfare, spesso troppo lontani dalle effettive esigenze e dagli introiti reali delle famiglie;
  • emersione di tutta la cosiddetta economia sommersa: con aliquote simili, ed un rafforzamento dei controlli fiscali, non ci sarebbe alcun motivo di lavorare in nero;
  • pagano poco e tutti, e le entrate fiscali sicuramente aumenteranno;
  • è da tempo caldeggiata da ampi settori di Confindustria, che vedono ne intravedono l’opportunità per aumentare la produzione e attirare gli investitori esteri;
  • i redditi più bassi sono esenti da tale imposizione (no Tax Area). Ne sarebbero favoriti i pensionati e coloro che hanno un reddito estremamente basso.
La Flat Tax è molto criticata per la mancanza di progressività dell’imposizione, ma rappresenta una svolta epocale, per uno Stato così legato alla burocrazia come quello italiano. È in grado, con un adeguato percorso legislativo, di dare la scossa all’intero sistema e di far ripartire l’economia.

Economia e Fisco in Italia: primo obiettivo, sconfiggere la burocrazia

La riforma del sistema fiscale italiano rappresenta il primo passo verso un sistema economico più sano, ove poter sviluppare nuove idee imprenditoriali e poter ripartire con nuove imprese. Il fisco italiano, arcaico, farraginoso e complesso, blocca sul nascere ogni idea, è difficile da adempiere ed è sempre pronto a sanzionare ogni minima inadeguatezza, sia per le famiglie che per i commercianti. Se il nostro obiettivo è quello di rimettere in moto il sistema economico italiano, basato sul lavoro e sulle PMI, è necessario sconfiggere l’inadeguato sistema burocratico italiano, uno dei principali motivi di blocco della crescita. Snellire la burocrazia vuol dire introdurre un nuovo sistema fiscale meno opprimente e più a “misura di famiglia”: un codice fiscale familiare, consentirebbe di considerare ogni famiglia italiana come un singolo soggetto fiscale, al quale deve essere concesso di poter detrarre ogni tipo di costo per il proprio benessere, dall’istruzione, alla palestra, fino alle vacanze. Fare in modo che le tasche degli italiani restino più piene dopo aver pagato le tasse non significa necessariamente ridurre il gettito fiscale: serve invece a dare la possibilità di rimettere in circolo liquidità per consentire la ripresa delle PMI, storicamente motore dell’imprenditoria italiana. Le imprese devono sentirsi libere di poter operare senza l’incubo di vessazioni e minacce da fisco ed autorità, di lavorare con estrema libertà, pagando le tasse in maniera chiara e semplice. I moderni sistemi informatici consentirebbero di creare aziende e pagare le imposte direttamente online, senza dover fare una fila, pagare bolli o spese secondarie, attendere firme di funzionari. A Bruxelles, se una persona vuole aprire un bar, affitta il locale ed acquista una macchina del caffè, iniziando subito a lavorare ed ottenere i primi introiti. Dopo qualche giorno, i tecnici comunali eseguono un sopralluogo per verificare se la normativa è stata rispettata o ci sono degli elementi ancora da sistemare. Perché tutto ciò non deve essere reso possibile anche in Italia? Questo ed altro fa parte del mio programma politico.

Immigrazione: i fatti di cronaca rappresentano un allarme?

Sono tanti i fatti di cronaca recente che pongono in risalto il problema dell’immigrazione come uno dei principali temi della nostra vita sociale, per il presente e per il futuro dei nostri figli. Le problematiche riguardano fondamentalmente le difficoltà nel poter ricevere immigrati nei nostri comuni per evidenti carenze logistiche, che amplificano i problemi legati al mancato inserimento dei soggetti, i quali, privi di un lavoro stabile ed emarginati culturalmente, sono spesso costretti a vivere di espedienti e si avvicinano alla vita criminale. I problemi di questa natura sono in qualche modo collegati agli stupri di Rimini, allo sgombero dei migranti a Roma, alle tematiche evidenziate nella città di Fiuggi e di tanti altri centri turistici della penisola. Sono tanti, oggi, gli episodi di cronaca che vedono coinvolti giovani migranti che, purtroppo, non fanno altro che peggiorarne l’immagine nei confronti dell’opinione pubblica. Lo Scandalo dell’ONG Tedesca e le dichiarazioni su Marcinelle evidenziano l’inadeguatezza della nostra classe politica, colpevole di una insufficiente attività diplomatica con la Libia e di non aver convinto contro l’Unione Europea che l’Italia gioca un ruolo diverso di tutti gli altri Paesi in tema di immigrazione. Il problema è innanzitutto logistico: l’Italia è particolarmente esposta ai flussi migratori, e deve poter agire liberamente per tutelarsi dagli sbarchi. Non dimentichiamoci mai che un movimento di clandestini, per sua natura, è comunque un’attività illecita che porta problemi di ordine pubblico, che vede muoversi sul territorio persone sconosciute pronte a tutto pur di poter restare nell’unione europea. I rapporti con l’UE, probabilmente, andrebbero rinegoziati. Dobbiamo comprendere se i nostri confini sono nazionali – e devono essere pertanto difesi con un adeguato dispiegamento di forze – o sono confini dell’Europa. In quest’ultimo caso, i costi devono essere ripartiti adeguatamente. Alle spalle di quei confini c’è il popolo italiano, non quello di altri Paesi Europei, pronti a chiudere, al contrario dell’Italia, le porte ai migranti. È oltremodo necessaria un’azione politica europea, che interessi sia i profughi che gli immigrati. Mentre i profughi – secondo i dettami l’UE – vengono ripartiti tra i Paesi UE, i migranti restano sul nostro territorio per molto tempo. Ma i profughi rappresentano soltanto il 5% degli arrivi sul territorio!

Il Venezuela dimenticato dai media tradizionali

La situazione in Venezuela appare tutt’altro che chiara, tanto che, ad oggi, è difficile trovare sui Media tradizionali o in rete informazioni ben precise su cosa stia accadendo. Il presidente Maduro, negli ultimi mesi, è diventato un dittatore di fatto ed ha usato più volte la forza per reprimere le manifestazioni di libertà e democrazia promosse dall’opposizione. Le immagini più significative degli eventi di cronaca locale arrivano soltanto dai social network, in quanto il regime controlla i media. Maduro continua a difendere la propria posizione con una linea estremamente autoritaria, instaurando una dittatura civico militare, nella quale la Guardia Nazionale usano armi da fuoco contro gli opponenti. Il Presidente Maduro, attraverso la Corte Suprema (controllata dal Governo) ha di fatto estromesso il Parlamento togliendogli i poteri, accusando i membri dello stesso di ribellione ed oltraggio alla Corte. La situazione trova evidenti analogie con le dittature militari degli anni 70, quando i civili, processati dai tribunali militari, venivano accusati di terrorismo o tradimento alla patria. Ogni giorno, oltre cinquantamila venezuelani fuggono dal Paese, in possesso di una sola valigia, desiderosi di una nuova vita, o semplicemente per mancanza di generi di prima necessità. Il regime instaurato è quello del terrore, che non può più mollare il potere e si difende con la forza: se perdessero il potere, Maduro e gli eredi di Chàvez dovrebbero dare conto di ciò che hanno commesso, dal blocco degli aiuti internazionali all’assenza prolungata di medicine per il proprio popolo. Il regime ha messo in ginocchio lo Stato più ricco del Sudamerica, condannando il popolo alla povertà. La crisi è economica, politica ed istituzionale. È semplicemente assurda la cronica assenza di notizie da parte dei media: se da un lato i giornali e le tv del Venezuela sono censurate dal potere, dall’altra, anche a livello internazionale, le informazioni su Caracas scarseggiano e sono spesso relegate in secondo piano. La comunità internazionale non riesce ad essere sufficientemente informata sulla situazione: anche i reporter stranieri non sono liberi di muoversi nel Paese e vengono costantemente controllati. Inoltre, gli operatori vengono puntualmente derubati, sequestrati e, a volte, uccisi. La democrazia è stata uccisa, e l’informazione non riesce a documentare la situazione tragica in cui vive il popolo venezuelano. C’è forse dietro un intrigo internazionale, legato alla produzione di petrolio? Il Venezuela è uno dei principali produttori di petrolio al mondo, ma la mancanza di riforme monetarie ha acceso, con il crollo del prezzo del petrolio nel 2016, una vera e propria miccia. Il paese è al collasso, vedremo cosa accadrà alle prossime elezioni ad Ottobre 2017, alle quali l’opposizione ha dichiarato la propria partecipazione, forte della convinzione di avere la maggioranza del consenso nei 23 stati. 

Stupri di Rimini: Problemi di immigrazione e giustizia

Con l’arresto del “capobranco” dello stupro di Rimini, si chiude il cerchio di una vicenda triste e violentissima, che coinvolge quattro giovanissimi rifugiati e getta pesanti ombre sulla fiducia nella giustizia italiana. La sera del 25 agosto, la banda ha stuprato una turista polacca di 25 anni, picchiato l’amico coetaneo, e violentato una prostituta transessuale peruviana. Ad inchiodarli, delle riprese di alcune telecamere di sorveglianza, nella zona dello stupro, riprese e pubblicate dai media, che hanno convinto i tre più giovani a presentarsi spontaneamente alla polizia (il quarto, l’unico maggiorenne, è invece stato arrestato). Inutile cercare di essere politically correct nel voler dare qualsiasi giudizio, qui c’è da affrontare ancora una volta il problema dell’immigrazione: Stefano Zurlo de Il Giornale, elaborando i dati del Viminale, ha svelato che «tra il 2010 ed il 2014, il 39% delle violenze sessuali in Italia è stato compiuto da stranieri, ed è un numero impressionante prosegue il giornalista «se consideriamo che nel 2014 solo l’8,1% dei residenti in Italia veniva da fuori». Qui non si tratta di fare luoghi comuni su razzismo ed ospitalità, ma prendere in esame un serio problema di ordine pubblico: quando le nostre strade sono presenti tantissimi rifugiati maschi, giovanissimi e non integrati, facilmente possono accadere episodi criminosi, è un dato di fatto. Altra nota dolente da prendere in considerazione, la giustizia italiana: essendo minorenni, gli stupratori potrebbero tornare liberi, o in comunità, nel giro di due o tre anni. Avranno diritto alla riduzione della pena in quanto di età inferiore ai 18 anni, più un altro terzo se chiederanno il rito abbreviato. Si pensi, ad esempio, al rom 17enne che nel 2012 uccise un vigile a Milano, ed è oggi libero dopo cinque anni e mezzo di carcere. Una vera vergogna. La Polonia, dall’inizio della vicenda che ha visto come vittima principale una propria connazionale, ha manifestato apertamente evidenti perplessità sulla giustizia italiana. Il vice ministro della Giustizia Il vice ministro della Giustizia, Patryk Jaki, ha dichiarato: «Per questo tipo di reti il minimo è la pena di morte. Ma io tornerei anche alla tortura» ed ha ribadito che chiederà l’estradizione per gli stupratori. E noi, in Italia, siamo in tanti a pensare che l’unica speranza di vedere veramente condannati i quattro, sia quello di spedirli in Polonia: uno stato estero, che ci manifesta apertamente l’inefficacia delle nostre leggi, e che interviene per dare giustizia ad una giovanissima connazionale.

Ispezione Usa a Washington in locali diplomatici della Russia

Come se non bastasse la difficile situazione con la Corea del Nord, è pronta ad accendersi un’altra miccia nei rapporti tra Washington e Mosca. «Una perquisizione all’interno dei locali dei diplomatici Russi, senza la presenza di incaricati ufficiali Russi» spiega li ministero degli esteri di Mosca «è un’azione aggressiva senza precedenti». Soltanto pochi giorni fa, infatti, gli Stati Uniti hanno effettuati alcune perquisizioni presso il Consolato russo di San Francisco e l’ufficio commerciale dell’ambasciata a Washington, in aree ove vale l’immunità. La situazione è ulteriormente degenerata quando i locali, per ordine del governo americano, sono stati liberati dal personale russo. Nella nota di protesta russa si legge che Mosca teme che «le perquisizioni possano essere usate dai servizi d’intelligence statunitensi per organizzare un atto di sabotaggio antirusso, mediante l’introduzione illegale di oggetti compromettenti». In realtà, la tensione tra i Paesi è ancor più alle stelle: si tratta di una “guerra delle ambasciate” già in atto da Putin, che da tempo ha deciso di ridurre il numero degli impiegati delle sedi diplomatiche americane. Una vera e propria ritorsione, che aveva visto espellere ben 755 diplomatici Usa nello scorso luglio. Gli attriti nascono già da prima, quando il Cremlino era stato accusato di interferire nelle elezioni presidenziali americane. È evidente che i due presidenti, forti del loro carisma e dei loro interessi commerciali, siano i principali interpreti, assieme a Kim Jong Un, di un vero e proprio “puzzle geopolitico” che potrebbe, in futuro, cambiare le sorti del mondo. Soltanto pochi mesi fa, tra Russia e America – per bocca di alcuni ex-ministri, si parlava di un “impegno comune” nella lotta contro l’ISIS, di “evitare, in alcun modo, l’utilizzo di armi nucleari”, della possibile “creazione di un nuovo gruppo Nato-Russia per la gestione delle crisi”. Impegni che in alcun modo sono stati presi e che avrebbero potuto, in altri tempi, creare i presupposti per una fattiva collaborazione contro la crisi in Medio Oriente e in Corea.

Crisi Corea del Nord: misteri di uno sviluppo tecnologico

Precipita la situazione politica in Corea del Nord, dopo  il test della bomba ad idrogeno che ha causato due forti scosse di terremoto. Unanime la condanna mondiale, potrebbero nascere i presupposti per un nuovo, pericolosissimo conflitto bellico. Il grande interrogativo che, in queste ore dovremmo farci, è quello delle armi a disposizione dei coreani, e del loro improvviso sviluppo tecnologico: la bomba ad idrogeno è molto più potente di una normale bomba atomica. In più, si tratta di un ordigno bellico miniaturizzato, che può essere caricato nell’ogiva di un missile intercontinentale, in grado di colpire gli Stati Uniti. La tecnologia di miniaturizzazione, realizzabile nel giro di diversi anni, è stata acquisita, inaspettatamente, in tempi record. Nel 2016, i media indicavano i missili nordcoreani come “a corta gittata”, in grado di raggiungere, al massimo, il vicino territorio del Giappone. Oggi, invece, le armi di Kim Jong-Un sembrano essere una minaccia in grado quasi di colpire ogni angolo del globo. Come è stato possibile implementare le nuove tecnologie sui motori di spinta, in un Paese così isolato come la Corea del Nord? Secondo l’intelligence americana, l’assistenza tecnologica viene dall’estero: un esperto tedesco, lo scorso anno, ha notato una somiglianza tra i motori dei missili dei test di Pyongyang con quelli prodotti in Ucraina, esattamente con il modello RD 250, realizzati nella fabbrica Yuzhmash di Dnipro. Tali propulsori sono stati realizzati per l’arsenale russo fino al 2014, ma quelli prodotti negli anni successivi erano rimasti invenduti, a causa della rottura dei rapporti tra Ucraina e Russia. La Corea del Nord potrebbe aver approfittato della situazione accaparrandosi i motori. La vicenda si tinge poi di giallo: Cina e Russia, secondo Washington, potrebbero essere coinvolti nella vicenda. Nonostante le smentite, la compagnia russa Energomash, da sempre in rapporti stretti con la Yuzhmash, potrebbe aver fatto da tramite. Nonostante la criticità della situazione, l’azione degli organi di controllo internazionali è praticamente nulla. Oltre agli Usa, risulta non pervenuta ogni possibile azione o presa di posizione da parte dell’Unione Europea. Come mai? È forse tutto architettato per dare un senso, anche per gli anni a venire, all’esistenza della NATO, che sembra quasi destinata a diventare un semplice organo per il contrasto al terrorismo islamico? Che ruolo continua ad avere la fabbrica ucraina, e perché continua a ricevere fondi per le tecnologie missilistiche che rivende? Da anni la Corea del Nord sfrutta il mercato nero per sviluppare la tecnologia missilistica. Oggi, Kim Jong-Un è purtroppo diventato un nemico molto più credibile, e soprattutto molto più pericoloso.

Sgombero migranti a Roma, lo scempio

Gli scontri a Roma con la Polizia, nelle operazioni di sgombero dei migranti costituiscono un episodio davvero deplorevole. Le aggressioni subite dalle forze dell’ordine, colpevoli solo di eseguire i propri ordini e ripristinare la legalità, evidenziano ancora una volta il pessimo funzionamento della gestione migratoria. Il sindacato indipendente di Polizia Soisp, nella persona del segretario generale Domenico Pianese, ha voluto manifestare apertamente “l’inefficienza e l’inadeguatezza” di un sistema che “ha superato, di molto, il limite della propria resistenza”. Il problema di fondo rimane legato all’immigrazione massiccia e mal gestita, che sta creando in tantissime città italiane evidenti problematiche di ordine pubblico.   Per lo sgombero del palazzo di via Curatore, i tantissimi agenti in azione, tra i quali tanti padri di famiglia, hanno dovuto mettere in pericolo la loro incolumità, fronteggiare vili aggressioni con sassi, bottiglie e perfino bombole a gas. Sempre più spesso, in episodi simili, i poliziotti sono lasciati soli a fronteggiare situazioni operative sempre più complesse, e c’è sempre qualcuno, in ogni occasione, pronto a puntare il dito contro il loro operato. I rifugiati hanno rifiutato qualsiasi soluzione alternativa proposta dal Comune. Questo atteggiamento è decisamente inaccettabile, se consideriamo come oggi, tanti italiani, che lavorano e pagano le tasse, continuano a vivere in condizioni di miseria e non hanno nessuna opportunità abitativa. L’abusivismo è stato difeso lanciando bombe a gas, e tutto questo nel pieno centro della capitale. L’assalto armato subito dalle forze dell’ordine costituisce un fatto gravissimo e decisamente intollerabile, che merita di essere discusso con attenzione, e proposto, a chi parla solo di accoglienza, e non si confronta seriamente con il problema. Se fosse successo qualcosa di molto più grave durante gli scontri, a cosa sarebbe servito commemorare o esprimere solidarietà, in un secondo momento, per eventuali morti o feriti?

L’Isis minaccia Roma, lancia un appello ai lupi solitari per colpire l’Italia

Ancora una volta l’ISIS mette nel mirino il nostro Paese, invitando i cosiddetti “lupi solitari” a colpire gli obiettivi strategici della nazione. L’allarme è stato lanciato dall’associazione americana Site che da tempo effettua un vero e proprio monitoraggio sull’attività jihadista online. A pochissima distanza dal devastante attentato di Barcellona, sul canale Telegram dei terroristi, veicolo di distribuzione anonimo di informazioni e messaggi, è stata lanciata una vera e propria dichiarazione di guerra, con un’immagine raffigurante un uomo che imbraccia un’arma guardando un monumento molto simile al Colosseo. La scritta in basso, tradotta, riporta: «devi combatterli o muwahhid», dizione che in arabo indica un salafita o un sunnita integralista. Inoltre, sullo stesso canale veniva comunicato apertamente che «dopo la Spagna e la Russia, il prossimo obiettivo è l’Italia». Oltre agli elementi raccolti da Telegram e dai social network, sono tanti i segnali che dimostrano come il nostro Paese sia un evidente bersaglio: l’Espresso ha recentemente pubblicato alcune intercettazioni telefoniche, legate ad un’inchiesta americana sull’attentato di Manchester. Le stesse evidenziavano la volontà di Mido, giovanissimo jihadista arrestato quattro mesi fa, che chiede, parlando con un americano di Dallas, se «sia arrivato il momento di attaccare l’Italia». Alcuni membri dell’antiterrorismo sono convinti che nel nostro Paese non sia ancora arrivato il momento degli attentati in quanto rappresenta un territorio “d’ingresso” verso l’Europa, e pertanto costituisce un’ottima base logistica per i militanti jihadisti. Tuttavia, la “tregua” potrebbe avere le ore contate. Fino ad oggi, l’Italia consentiva l’accesso ad un numero molto alto di musulmani, con possibilità, per eventuali attivisti e combattenti, di infiltrarsi sui barconi. Per assurdo, una eventuale azione dell’Italia nel voler tamponare le migrazioni, o limitare l’azione delle Ong, potrebbe accrescere l’odio nei confronti del nostro Paese. Chiari riferimenti all’Italia compaiono già dall’aprile 2016, quando in un video dal titolo “Combatteteli, Allah li punirà attraverso le vostre mani” i terroristi hanno inserito proprio il Colosseo.

Stx-Fincantieri, i francesi preferiscono la gestione delle aziende italiane?

Dopo gli eventi di Saint-Nazaire, che ha visto il Governo francese nazionalizzare i cantieri navali di Stx violando gli accordi con Fincantieri, l’attenzione torna di nuovo sulla società francese, pronta a riprendere i lavori per la realizzazione di Symphony of the Seas, la nave da crociera più grande del mondo. Nonostante le potenzialità del bacino di costruzione, l’impresa era sull’orlo del fallimento; oggi, rivive una nuova giovinezza, con un boom di ordinativi per 4,6 miliardi di euro. Secondo diverse opinioni raccolte da alcune testate giornalistiche italiane, però, diversi addetti ai lavori non hanno infatti apprezzato la manovra di Macron e il colpo basso inferto a Fincantieri. Sono molte, infatti, le voci che riportano come «gli italiani siano più sul mercato» e che manifestano evidenti diffidenze nei confronti del processo di «nazionalizzazione temporanea» imposto dal Governo Francese.   L’accordo tra Hollande e l’Italia, stipulato prima dell’arrivo di Macron, riusciva ad accontentare impiegati e dipendenti: Fincantieri avrebbe ottenuto il 48% del capitale; il 6% sarebbe andato alla Fondazione CRTrieste e il rimanente suddiviso tra lo Stato francese (già proprietario del 33,4%) e la società pubblica militare Naval Group. I sindacati sono oggi decisamente molto critici: secondo Sébastien Benoit della Cgt (la Cgil francese), la manovra del Premier ha delle finalità meramente propagandistiche: «Macron è il campione dei colpi mediatici – dice -. Con la nazionalizzazione è diventato il protettore dell’impiego industriale e con pochi soldi, appena 80 milioni di euro. Per Neymar il Psg ne ha sborsati più di 500. La vicenda è diventata un caso politico e basta».     Lo Stato non può sostituirsi ad un impianto industriale, non può garantire dei piani di sviluppo, non può assicurare le garanzie sociali per i lavoratori. A molti non sarebbe stato così importante se la maggioranza fosse stata nelle mani italiane o meno. Tuttavia, il lavoro è ripreso, e sono tante le aziende pronte ad investire a Saint-Nazaire, in un’area della Francia (quella compresa fino a Nantes) ove la disoccupazione è scesa e l’industria ha dato evidenti segnali di ripresa.