berlusconi flat tax soluzione per Italia

Berlusconi e la flat tax: ecco cosa serve davvero all’Italia

Nelle recenti apparizioni, Silvio Berlusconi è apparso nuovamente in forma e pronto proporre la ricetta ideale per far ripartire il Paese, che deve puntare oggi ad una vera e propria rivoluzione fiscale, partendo dal concetto della Flat Tax. Lo stato di oppressione fiscale in cui viviamo, basato su numerose tasse e balzelli che pesano come un macigno sulla crescita economica e sulla salute delle singole attività, dovrà presto concludersi. Il Cavaliere ha annunciato da tempo che punterà alla cosiddetta flat tax, con un’aliquota più bassa di quella attuale ed inferiore dunque al 23%. Proporre meno tasse per tutti (in particolare, per chi paga e produce) potrebbe stimolare la crescita economica e ridurre l’evasione fiscale. Oggi ci sono tasse altissime” ha sottolineato Berlusconi «ed è difficilissimo compilare il modulo 730. La flat tax dovunque è stata applicata ha dato risultati straordinari. Ci sarà un modulo da una pagina e non più di sedici pagine». Ricorda inoltre che «la flat tax è stata applicata in più di 60 Paesi” e che in tema di lavoro proporrà “zero contributi per sei anni a chi assume a tempo indeterminato». I più scettici criticano il fatto che non esistano prove certe sull’effettiva efficacia della tassazione unica; tuttavia, il successo appare garantito. Ad Hong Kong la flat tax venne introdotta nel secondo dopoguerra, determinando un forte successo economico; nelle tre Repubbliche baltiche Lituania, Lettonia ed Estonia, fu invece decisa nel 1994, creando i presupposti per uno dei tassi di crescita più alti d’Europa. Molto positiva l’esperienza anche in Russia, ove è stata introdotta nel 2001. La flat tax porterà ad una riduzione delle tasse da pagare ed una diminuzione delle entrate fiscali stimata, per l’Italia, intorno ai 95 miliardi. Forza Italia prevede che la maggior parte di questi introiti saranno recuperati dall’evasione, che si ridurrà in quanto, con tale aliquota, eludere il fisco più difficile e meno conveniente. Inoltre, l’introduzione dell’aliquota unica più bassa potrebbe dare nuova linfa ai mercati ed attirare i capitali degli investitori esteri. Numerosi i consensi sulla proposta, provenienti da tutto il mondo: tra i più autorevoli, quello di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist da sempre molto critico sul Cavaliere (nel 2001 fu autore della famosa copertina su ‘Berlusconi unfit to lead Italy’ – inadatto a guidare l’Italia). Emmot ritiene che la flat tax possa rivelarsi una soluzione adeguata ai problemi economici del nostro Paese, considerando che «l’evasione delle tasse è un grandissimo problema per l’Italia e un’imposta sul reddito semplificata con una sola aliquota, pagata da chiunque guadagni oltre un determinato importo, sembra una buona idea in queste condizioni. L’evasione fiscale crea enormi problemi ai conti pubblici italiani e fa ricadere un onere troppo pesante su tutti quelli che non sono in grado di evadere le tasse, perché lavoratori dipendenti o pensionati, riducendo la loro capacità di consumo e mettendo in moto un circolo vizioso che porta alla stagnazione dell’economia. Dopo 20 anni di sottosviluppo economico rispetto ai partner europei, mi sembra che sia arrivata l’ora di riforme radicali».
Soggetti pericolosi tra gli immigrati, è rischio sicurezza

Soggetti pericolosi tra gli immigrati, è rischio sicurezza!

L’immigrazione nasconde sempre e comunque il pericolo di infiltrazioni e terrorismo, sempre più alto il sospetto di soggetti pericolosi tra gli immigrati: sembrano accorgersene un po tutti, ovviamente anche gli addetti ai lavori ed i rappresentanti istituzionali delle città del Sud ove l’afflusso di migranti è insostenibile, ma le forze di Governo fanno “orecchie da mercante” evitando di sottolineare un problema che nasconde una vera e propria emergenza sicurezza. Nonostante molti dei recenti episodi terroristici sono avvenuti ad opera estremisti islamici nati e cresciuti in Europa, c’è sempre il terrore che il pericolo possa venire dal mare, tra coloro che arrivano dall’Africa come rifugiati. È davvero significativa una recente intervista rilasciata dal sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna, che spiega come la cittadina siciliana non disdegni in alcun modo accoglienza e solidarietà; tuttavia, il Sindaco evidenzia come spesso, tra coloro che sbarcano, si nascondano persone sospette, puntualmente segnalate alle autorità. La presenza di soggetti pericolosi tra gli immigrati, Pozzallo, insieme a Lampedusa e Augusta, rappresenta un luogo di facile approdo per gli immigrati provenienti dalle coste africane. Ammatuna è un politico di grande esperienza ed ha preferito contattare direttamente il ministro degli interni Marco Minniti, rappresentandogli apertamente il problema. “Ho raccontato ciò che sapevo, ciò che i volontari a loro volta mi raccontavano” ha precisato il sindaco. “Non era sfuggita qualche presenza diversa: qualche giovanottone un po’ arrogante, dai modi spicci e violenti. Volti ad atteggiamenti che sono ben diversi da quelli di coloro che arrivano sulla banchina del porto con il loro carico di sofferenze e di paure”. Il Ministro non ha perso tempo: due giorni dopo ho ricevuto un contatto, tramite il prefetto Morcone. Il ministro Minniti voleva incontrarmi ed io sono andato a Roma per parlare con lui. Oggi so che i controlli sono aumentati, e che gli immigrati, dopo aver avuto il foglio di via, vengono accompagnati e scortati per andarsene, non vengono lasciati liberi di circolare per la città, magari ingenerando qualche inevitabile timore tra la gente e i controlli sono molto più accurati”. Lo stesso Minniti, intervistato dal giornale tedesco “Die Welt”, non ha nascosto la presenza di soggetti pericolosi tra i migranti, evidenziando l’importanza della sinergia tra le istituzioni, alla quale non sempre però viene relegata la giusta importanza. L’emergenza è sempre dietro l’angolo.
Incontro Corea del Nord e Corea del Sud

Storico incontro tra Corea del Nord e del Sud: è tutto oro quello che luccica?

 Storico incontro di “alto livello” tra le Coree, con la presenza di una delegazione del Nord ai giochi olimpici invernali di PyeongChang. Potrebbe essere l’occasione per un importante segnale di distensione, grazie ai primi contatti, dopo un gelo di oltre due anni tra gli emissari dei due governi coreani, ed un lungo periodo di guerra che, tecnicamente, dura da oltre 65 anni. Si riparte dunque da un vero e proprio “telefono rosso”, che per tanto tempo è stato l’unico canale diretto di comunicazione tra le due Coree, disconnesso dal 2015.  “Le parti hanno deciso di discutere temi di tipo operativo con lo scambio di documenti”, ha ribadito Baik Tae-hyun, nella qualità portavoce del ministero dell’Unificazione sudcoreano. Tuttavia, si parlerà anche delle possibili soluzioni per riprendere ufficialmente i rapporti, includendo anche il nodo olimpico. Gli analisti sono cauti: Kim Jong-un non ha sicuramente rinunciato alle provocazioni balistiche e potrebbe lanciare presto un altro missile. Il dittatore potrebbe approfittare della situazione ottenere il sostegno della Corea del Sud, indebolendo così il fronte americano. I rapporti bilaterali tra i Paesi potrebbero davvero migliorare, ma non è detto che ne possa trarre giovamento la situazione di crisi con gli Stati Uniti. I servizi segreti americani, secondo l’autorevole New York Times, hanno ammesso un errore imperdonabile, sottovalutando i test missilistici e non considerando la possibilità, poi concretizzata, che Pyongyang, per il programma missilistico, potesse ricorrere ai mercati esteri: in tal modo, lo sviluppo tecnologico delle armi balistiche ha raggiunto in poco tempo un altissimo livello.   Trump ha tuttavia accolto favorevolmente la notizia dell’incontro, ritenendolo una conseguenza della sua dura linea di governo nei confronti di Pyongyang. Oltre all’evento sportivo, che avrà luogo a PyeongChang dal 9 al 25 febbraio, il mondo avrà sicuramente un altro valido motivo per tenere gli occhi puntati sulla penisola coreana.
Bilancio Migranti Viminale

Il bilancio migranti del Viminale: nulla da festeggiare

Se si parla di immigrazioni illegale in Italia, bisogna indubbiamente partire dal bilancio migranti del Viminale 2017. Il Ministero dell’Interno reputa fin troppo positiva la riduzione degli sbarchi: Nel 2017 hanno infatti raggiunto e coste italiane 119.310 migranti, contro i 181.436 del 2016. Anche se il calo registrato si attesta al -34,24%, durante il corso dell’anno si è assistita ad una vera e propria inversione di tendenza: nel primo semestre il governo Gentiloni ha adottato una politica di “soccorso ed accoglienza” impiegando navi militari e Ue (oltre alle imbarcazioni delle Ong) e lanciando un appello all’Europa per condividere gli oneri di accoglienza. Il numero dei clandestini sbarcati da gennaio a giugno è stato di 83.754 unità, con un incremento del 16% rispetto al medesimo periodo 2016. Nel secondo semestre le carte in tavola sono cambiate: con il sostegno alla Guardia costiera libica si è ottenuta la riduzione del flusso di migranti di oltre 70.000 unità, con un trend di discesa del 73% nel solo mese di dicembre (77%, se si considerano solo i migranti illegali che provengono dalla Libia). Probabilmente se gli accordi del governo con gli organi istituzionali della Libia fossero stati stipulati in precedenza, avremmo potuto dimezzare il numero totale migranti arrivati in Italia nel 2017.   Il primo errore del governo italiano è stato però quello di non intraprendere, già nel 2013, una missione navale in Libia congiuntamente alle autorità locali, per contrastare il fenomeno migratorio; ha invece adottato la politica “di soccorso ed accoglienza” Mare Nostrum che ha acutizzato il fenomeno e consentito di portare in Italia oltre 650mila clandestini, che non riuciamo a gestire nella maniera migliore. Il problema politico è evidente: il PD a Giugno si è probabilmente reso conto, a seguito insuccessi di Renzi, che le politiche adottate sulla gestione dei migranti avevano minato la credibilità del partito, creando una situazione che favoriva le lobby, amplificava le spese per il welfare e causava problemi di sicurezza interna. Il governo Gentiloni è dunque corso ai ripari, cambiando politica e riducendo, in breve tempo, il flusso migratorio. Se il numero di migranti, nel 2017, è sceso, non c’è comunque nulla da festeggiare: c’è davvero tanto rammarico che un problema di tali proporzioni sia rimasto pressoché irrisolto per tanti anni e che, a trarne beneficio, siano state probabilmente solo le Ong e le associazioni che gestiscono l’accoglienza dei profughi. Un apparato militare navale come quello italiano, poteva, da anni e senza particolari sforzi, chiudere in maniera decisa ed ermetica la “rotta libica”, che costituisce uno dei principali canali di ingresso in Europa del terrorismo islamico.  
famiglia lavoro programma centrodestra

Famiglia e lavoro nel programma politico del centrodestra

La centralità della famiglia e del suo ruolo di educatrice, quale “primo e fondamentale nucleo della società” sono tra i punti fondamentali del programma politico del centro destra, in vista delle prossime elezioni. In Italia, creare una propria famiglia, che possa educare ed introdurre i propri figli nella società, sta diventando una vera utopia, a causa di problemi legati a casa, lavoro, tassazione elevata. Il quoziente familiare consentirebbe di rimodulare con più precisione l’imposizione fiscale delle singole famiglie, in quanto correlato alla numerosità ed alle risorse della famiglia: in tal modo si abbatterebbe il carico fiscale che impedisce il proliferare di famiglie numerose. Altro punto chiave, il problema della natalità: il calo delle nascite nel nostro Paese è un fenomeno allarmante, da esaminare con estrema urgenza. Per risolvere tale questione, il centro destra propone un vero e proprio piano straordinario, con la concessione di asili nido gratuiti e assegni familiari più che proporzionali al numero dei figli. Oggi trovare un lavoro stabile – indispensabile per avere una serenità economica familiare – è diventato molto difficile, e le possibilità lavorative, specie al centro sud, sono estremamente ridotte. Il centro destra, con la proposta sull’introduzione della flat tax e di nuovi incentivi, mira a creare nuovi solidi posti di lavoro, gettando le basi per la costituzione di nuovi nuclei familiari. Il lavoro femminile va indubbiamente difeso: spesso le giovani mamme sono costrette ad abbandonare il loro impiego in quanto impossibilitate ad accudire i figli. Il programma prevede la tutela del lavoro delle giovani madri, la difesa delle pari opportunità e un riconoscimento pensionistico anche alle genitrici, che svolgono, da secoli, uno dei lavori più complessi ed impegnativi: quello di educare i nostri ragazzi, e prepararli per l’inserimento nella società. Altro caposaldo del programma, è proprio legato ai giovanissimi, ed alla loro evidente difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. Il precariato non aiuta sicuramente a vivere bene, e a creare nuovi nuclei familiari. L’obiettivo deve essere dunque quello della piena occupazione per i giovani, attraverso stage e appositi percorsi formativi.
Trump: Stop fondi ai palestinesi

Trump: “Stop fondi ai Palestinesi se rifiutano i negoziati con Israele e Gerusalemme”

Donald Trump continua a tenere banco sulla questione Gerusalemme, forte delle risorse economiche americane e dal carattere sanguigno e coriaceo che ha contraddistinto, fino ad oggi, ogni momento del proprio mandato elettorale. Dopo aver alimentato la tensione con il Pakistan, colpevole di “fare il doppio gioco” e di “non fare abbastanza nella lotta al terrorismo”, bloccando 255 milioni di dollari di aiuti, ora sono i Palestinesi ad essere nel mirino del presidente Usa. Paghiamo loro centinaia di milioni di dollari all’anno e non otteniamo alcun apprezzamento o rispetto” ha precisato Trump, direttamente su Twitter. “Non vogliono neppure negoziare un trattato di pace con Israele necessario da molto tempo“. Il Presidente USA dimostra, ancora una volta, di essere in politica estera un vero e proprio “rullo compressore”, mostrando i muscoli al fine di trovare rimedio a situazioni particolarmente scottanti. Non ha mai accettato le provocazioni della Nord Corea e dell’Iran; oggi, però, sono Pakistan e Palestina ad essere criticate senza mezzi termini. Le esternazioni di Trump, così lontane dal fair play diplomatico, mirano a catalizzare l’attenzione mediatica partendo dai social e costringere i palestinesi al tavolo delle trattative, in maniera rapida e con un approccio più favorevole agli Usa. A poco valgono le repliche di Mahmud Abbas, portavoce del presidente della Palestina, e del dirigente dell’Olp Hanan Ashrawi: Trump sembra avere le idee chiare, sa di potersi muovere in una posizione privilegiata (i dollari Usa fanno davvero comodo) ed è pronto a “fare ordine” in medio oriente toccando gli avversari proprio sull’aspetto economico. Contro i Palestinesi, il presidente americano tenta l’ennesimo braccio di ferro sulla politica internazionale. L’obiettivo è quello di mettere fine ai finanziamenti che l’Onu utilizza per fornire aiuti umanitari ai rifugiati palestinesi, con un impegno economico che nel 2016 aveva toccato i 370 milioni di dollari. Dopo le critiche ricevute a seguito della decisione unilaterale della Casa Bianca di spostare la capitale di Israele a Gerusalemme, Trump aveva già decurtato 285 milioni di dollari di finanziamento per il Palazzo di Vetro.
buste biodegradabili

Buste biodegradabili a pagamento

Sulle questione delle “buste biodegradabili” credo che il Governo abbia fatto qualche errore ma in parte certe credo che certe critiche non siano giuste. Ero relatore nella scorsa legislatura sulla direttiva cosiddette “bio-bags” e mi sono battuto, vincendo, contro le multinazionali, sopratutto quelle tedesche, che volevano imporre la plastica di derivazione petrolifera come alternativa a quella di derivazione vegetale. La loro invidia derivava dal fatto che sulla biochimica noi italiani siamo di gran lunga più avanti rispetto alla loro arretrata petrolchimica. Voglio quindi ribadire che la Novamont di Novara è un’eccellenza nel settore ed è purtroppo quanto è riuscito a sopravvivere dopo la morte di quel genio di Raul Gardini e dello “spezzatino” del gruppo Enimont che ne è conseguito. La Novamont è un patrimonio italiano ed anche se amministrata da una persona qualificata come vicina al segretario del PD Renzi, non è di sua proprietà. È partecipata dall’Eni, da fondi d’investimento e un domani potrebbe benissimo essere amministrata da una persona di altra corrente politica. Sappiamo che Renzi ha lottizzato molte aziende ma non possiamo denigrare una realtà industriale quale la Novamont che oltre che dar lavoro a centinaia di persone è al centro di una filiera, quella della biochimica, che potrebbe rappresentare un asse di sviluppo importante per la nostra economia. Tornando al Governo e all’emendamento che ha recepito la direttiva europea vorrei specificare alcune cose: – la direttiva lasciava libertà assoluta agli Stati membri per quanto attiene i sacchetti ultraleggeri destinati al monouso per il confezionamento delle verdure al dettaglio. Credo che si sia fatto bene a rendere obbligatorio l’uso di sacchetti di bioplastica perché oltre che a favorire l’industria nazionale si utilizza un materiale perfettamente compostabile. Credo invece si sia fatto male a imporre la politica di pricing, quella cioè di vietare la fornitura gratuita e introducendo l’obbligatorietà della vendita dell’imballo. In questo modo credo si sia solamente fatto l’interesse della grande distribuzione che si ritroverà un costo in meno, perché saranno i clienti a pagarsi i sacchetti che finora erano forniti gratuitamente. Se vogliamo quindi pensare ad un provvedimento “ad hoc” per favorire amici del PD preferisco guardare verso il mondo COOP piuttosto che verso un’eccellenza italiana quale potrebbe essere la nostra biochimica. Se qualcuno ritiene politicamente scorretto il mio pensiero, continui pure a pensarlo, ma quando di mezzo c’è l’interesse dell’Italia non c’è spazio per acrobazie politiche. W l’Italia sempre e comunque!
Proteste in Iran

Cosa significano le proteste in Iran?

Da alcuni giorni si susseguono in Iran manifestazioni e disordini, che sfociano ormai in violenza: la gente chiede migliori condizioni economiche, lavoro, lotta contro il carovita. Si parla di oltre venti morti e centinaia di arresti, con un fenomeno di vibrante protesta tra i più rilevanti negli ultimi dieci anni di vita nel Paese, secondo soltanto a quello del movimento dell’Onda Verde del 2009, che denunciava i brogli elettorali del presidente Mahmud Ahmadinejad.   Sono tutt’oggi poco chiare le notizie sulla situazione attuale e sugli scontri. Non sembra esserci una leadership ufficiale, i manifestanti sono per lo più poveri e giovani, senza alcun orientamento politico comune. I disordini sono iniziati nella città conservatrice di Mashhad per poi estendersi al resto dell’Iran. Secondo alcuni analisti, però, le proteste potrebbero essere state organizzate in maniera occulta dagli ultraconservatori, guidati politicamente da Ali Khamenei, al fine di opporsi alle politiche del presidente Hassan Rouhani. Tuttavia, il fenomeno si è ingrandito e se ne è perso il controllo. Il principale obiettivo dei disordini è legato alle richieste economiche: si chiede lavoro, abbassamento dei prezzi e migliori condizioni di vita. È una lotta contro un regime sempre più corrotto, che limita la libertà individuale. Si contesta anche la teocrazia islamica, vigente in Iran sin dal 1979. La Repubblica Islamica sta inoltre tentando di bloccare i social network, usati dai manifestanti per propaganda e per organizzare gli eventi: è diventata virale, e d è stato diffuso in tutto il mondo, il video di una ragazza che si leva l’hijab e lo sventola, in mezzo la folla. Difficile fare previsioni, oggi, su come si evolveranno le cose, e se è in corso un possibile cambio di regime politico: a livello internazionale, Trump sembra attualmente in attesa di ulteriori sviluppi e non intende esporsi, specie dopo le dichiarazioni sul fallimento della politica Obama e sull’accordo sul nucleare in Iran. La posizione degli Stati Uniti, recentemente espressa dal portavoce della Casa Bianca Huckabee Sanders è comunque quella di sostenere la possibilità di «garantire a tutti gli iraniani i diritti basilari».
paura degli immigrati

Paura dell’Euro? No, dei migranti!

Il principale problema dell’Italia è l’Euro? Ritenete che questa moneta abbia danneggiato la nostra economia? Macché! Il primo pensiero degli Italiani è diventato lo Stop all’immigrazione, tema dominante collegato a sicurezza, lavoro, decoro. Seguono, ovviamente, le problematiche legate ai problemi economici e finanziari del Paese. Il recente sondaggio non statistico proposto da La Stampa e dal Financial Times, ha raccolto il clima ed i sentimenti dei cittadini italiani: il problema migratorio è diventato prioritario rispetto ad altre storiche questioni, come la possibilità di uscire dall’Euro o i rapporti dell’Italia con l’Europa. Due terzi tra coloro che hanno partecipato all’inchiesta sono convinti che «l’Unione Europea sia stata un aiuto per il Paese» e non ne gradiscono l’uscita; quando invece si affronta il tema dellimmigrazione, sono in molti a ritenere che il fenomeno rappresenti una vera minaccia. Secondo gli intervistati «L’Italia stia gestendo male il fenomeno epocale ed ineludibile dell’immigrazione», ed i problemi principali «sono le enormi differenze culturali tra l’Islam e l’Occidente». Alcune opinioni sono decisamente disfattiste: «La storia ci insegna che la coesistenza è impossibile, che uno annienterà l’altro e, da quello che possiamo vedere oggi, la civiltà occidentale sarà distrutta. È alle nostre porte un nuovo, oscuro medioevo».  Nessuno sostiene che l’immigrazione possa costituire una risorsa, anche perché «l’Italia non è in grado di governarla efficacemente». Altro nodo che la politica dovrà sciogliere, quello della sicurezza economica: molti elettori manifestano un sentimento di ansia per il futuro economico del Paese. Per la politica estera, il campione intervistato ha ritenuto che la Brexit e l’elezione di Donald Trump siano stati i maggiori eventi negativi. Dunque, ora, sarà compito della politica provare a dare risposte concrete alle incertezze in cui oggi l’Italia deve convivere. Sta alle principali coalizioni proporre soluzioni convincenti alle problematiche più diffuse.
Braccio di ferro Donald Trump - Kim Jong-un, con Putin nel ruolo di mediatore

Braccio di ferro Donald Trump – Kim Jong-un, con Putin nel ruolo di mediatore

Donald Trump e Kim Jong-un proseguono, a distanza, la continua prova di forza che continua a creare una tensione sempre più insostenibile. Mentre Kim mette in orbita il Kwangmyongsong-5“, un moderno satellite per lanciare i missili a lunga gittata; Donald annuncia nuove sanzioni ai funzionari nordcoreani che si occupano del programma missilistico. Il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha inoltre annunciato ulteriori sanzioni dettate dalla “strategia della tensione” che mira ad isolare la penisola coreana, fino a quando non sarà completamente denuclearizzata. Queste vanno ad aggiungersi a quelle annunciate dalle Nazioni Unite lo scorso venerdì, a seguito dei test balistici intercontinentali (i missili della Corea del Nord sono oggi in grado di raggiungere qualsiasi punto del territorio Usa). Le sanzioni recenti mirano a limitare l’accesso di prodotti petroliferi raffinati e petrolio grezzo, nonché dei guadagni dei lavoratori all’estero. Nelle ultime misure restrittive del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dello scorso 22 dicembre sono state inoltre inserite, tra le altre cose, il divieto di importazione di generi alimentari, apparecchiature elettriche, navi da trasporto, materie prime come legno e magnesite. La novità, in questa situazione, è invece legato al ruolo del leader russo Vladmin Putin, sempre più pronto a proporsi come mediatore in grado di ristabilire l’ordine e trovare un accordo Usa – Corea del Nord. Nel corso di una recente telefonata tra Washington ed il Cremlino, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha ribadito al segretario di Stato usa Rex Tilleson la necessità di ridurre la tensione tra i Paesi. Lavroc ha parlato di come la retorica aggressiva di Washington, e l’aumento della presenza militare nella penisola stiano innalzando la tensione, e questo non è accettabile; ha inoltre rappresentato di come, in questo momento, sia importante “passare dal linguaggio delle sanzioni a quello dei negoziati”. La Russia sembra dunque pronta ad una de-escalation della tensione, ma la volontà di voler mediare tra le parti, come dichiarato dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, implica che entrambe le parti siano disposte ad ascoltare ed accettare.