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Gerusalemme Capitale di israele

Gerusalemme è la Capitale di Israele: è la Storia a dirlo

Trump decide di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, con un annuncio ufficiale, che ha riscontrato numerose critiche e contestazioni da parte dell’Autorità Palestinese e da altri paesi. La faccenda era già stata annunciata al Presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen ed è stata resa ufficiale con un annuncio che ha destato non pochi problemi, ma perchè tante polemiche quando tutti sappiamo che Gerusalemme è la Capitale di Israele? Con questa decisione, Trump e gli Usa riconoscono, di fatto, Gerusalemme come capitale di Israele: i palestinesi hanno annunciato “3 giorni di collera” ed hanno invitato i palestinesi come tutto il popolo arabo sparso in tutto il mondo a raccogliersi nei pressi delle ambasciate per manifestare il proprio dissenso. La situazione è molto tesa, è a rischio, anche l’incolumità dei diplomatici statunitensi, e quella dei propri familiari in tutti i paesi arabi, dove sono iniziate delle proteste davanti alle sedi diplomatiche USA. La preoccupazione coinvolge ora eventuali reazioni anche da parte della lega araba, che è contraria ad ogni iniziativa che possa portare ad un possibile cambiamento dello status giuridico e politico di Gerusalemme, e che tale scelta possa influenzare i negoziati sul conflitto tra Israele e Palestina. Per Trump Gerusalemme è la capitale di Israele: perché criticarlo? Gerusalemme è, di fatto, la capitale di Israele: non è l’uomo Trump poterlo decidere oggi, ma semplicemente la storia. Negare questo ruolo alla città giudaica significa negare la storia, usi e costumi dell’intera regione, che ha una tradizione antichissima di grandi civiltà. Trump di fatto ha dato seguito concreto ad un atto del Congresso USA risalente al 1995, che mai nessun Presidente per ambiguità ha voluto rendere risolutivo. Nel 1948 il presidente americano Truman fu il primo, tra i leader mondiali, a riconoscere lo Stato di Israele; oggi Trump ha voluto correggere un “errore storico”, riconoscendo alla città di Gerusalemme il ruolo di capitale della nazione di Israele. Trump ha spesso preso decisioni forti, ma mai sicuramente illogiche: soltanto un anno fa, aveva sostituito l’ambasciatore uscente con l’avvocato David Friedman, ed ha deciso sin da subito di prendere le distanze dai suoi predecessori in merito alla questione Israele. Troppo spesso le proprie decisioni sono state apertamente criticate ed è stato considerato impropriamente come un fanatico guerrafondaio, ruolo che forse sarebbe calzato di più a qualche suo predecessore. Non è mai stato un fanatico del “politically correct” poiché, probabilmente anche a causa dei trascorsi imprenditoriali ed economici, è sempre stato uno che punta ad un obiettivo preciso senza girarci troppo intorno. Le “primavere arabe” hanno creato guerra e tensioni che hanno interessato il Medio Oriente e l’Africa Settentrionale causando, tra l’altro, il problema dei flussi migratori verso l’Europa, con cui oggi ci troviamo a dover convivere. È ora di dire basta, e di prendere decisioni importanti e puntuali, proprio come ha fatto oggi il Presidente degli Stati Uniti d’America.
tassazione insostenibile serve flat tax

Abbattiamo la tassazione insostenibile: la flat tax

La vera priorità del Paese è indubbiamente una tassazione insostenibile, serve una flat tax,  è urgente introdurre una profonda riforma fiscale, che possa consentire la ripartenza della grande e della piccola impresa, così da poter creare nuovi posti di lavoro e garantire una crescita economica adeguata alle effettive potenzialità della nazione. Negli Stati Uniti, Trump è riuscito in breve tempo a rendere operativa una riforma fiscale da 1500 miliardi di dollari, partita dal taglio delle tasse ad imprese e persone, con l’abbattimento delle aliquote alle imprese dal 35% al 20%. In Italia, la nostra prerogativa non può che essere analoga: la riduzione di tante tasse e balzelli, con l’introduzione di una unica flat tax: un’imposta fissa, assestata intorno 20%, che possa rivoluzionare il nostro sistema economico e rendere più sostenibile il carico fiscale. Pagare di meno, pagare tutti, pagare una sola tassa con la certezza di non sbagliare sull’entità del versamento. Nel mio impegno politico ho inquadrato delle azioni da fare in un corretto programma di Governo. In Colombia, è stata introdotta una flat tax al 20% e sono state eliminate iva e dazi doganali per favorire importazioni ed esportazioni. Le imprese hanno reagito investendo 400 milioni di euro, con un interscambio commerciale che è lievitato a 1,3 miliardi di euro l’anno, toccando cifre superiori a quelle dei Paesi europei molto più sviluppati economicamente. La Colombia secondo il Global Competitive Index, ha un altissimo indice di stabilità ed un rating superiore a quello italiano. In Colombia hanno investito Tenaris, produttrice di tubi, ma anche Enel, Lavazza e Pirelli. Tra le italiane, sono anche presenti Fca, Iveco, Piaggio, Saipem, Salini Impregilo, Illy, Ferrero, Cirio, Barilla, De Cecco, Generali: imprese che forse, con adeguate condizioni fiscali, potrebbero creare qui in Italia migliaia di posti di lavoro, senza avere la necessità di delocalizzare all’estero. Berlusconi propose la flat tax già nel 1994 e ci lavoro con l’esperto di economia Antonio Martino, allievo ed amico del premio Nobel Milton Friedman; tuttavia, gli alleati di allora vanificarono gli sforzi e non fu possibile mettere in atto il progetto. Stavolta la situazione è diversa, perché in tanti sono convinti che rivoluzionando il fisco si possa riportare l’Italia nella posizione economica che davvero merita. Finché non si riuscirà ad intervenire in maniera energica per l’abbattimento della tassazione insostenibile, è illusorio pensare che l’Italia possa ripartire.
Convegno sul valore dell'italia per la fine delle sanzioni tra Russia e UE - Fabrizio Bertot

La strada per la fine delle sanzioni tra Russia e UE passerà dall’Italia?

“Il ruolo dell’Italia nei rapporti tra Unione europea e Federazione russa. La strada per la fine delle sanzioni tra Russia e UE passerà dall’Italia. È questo il titolo del convegno che si svolgerà a Roma, il 5 dicembre alle ore 10.00, presso l’Ufficio in Italia del Parlamento europeo in via IV Novembre, 149.

Il tema è cruciale poiché le relazioni tra UE e Russia attraversano uno dei momenti più difficili della storia recente. Com’è noto, dal 2014 l’Unione europea ha applicato una serie di misure restrittive, di varia natura e inaspritesi nel tempo, nei confronti della Federazione russa che a sua volta ha risposto con controsanzioni di tipo economico. Obiettivo dell’incontro è discutere e valutare la possibilità, dopo la primavera 2018 che è la data prevista sia per le elezioni politiche in Italia sia per le elezioni presidenziali in Russia, di porre fine alle sanzioni reciproche che hanno congelato e compromesso gli scambi commerciali, l’import nei rispettivi mercati e le tradizionali buone relazioni tra la Russia e i principali Paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia. 

All’incontro, organizzato dall’On. Fabrizio Bertot, europarlamentare Forza Italia nella VII legislatura e Presidente della Fondazione Ki An, interverranno i vertici italiani e russi delle principali istituzioni interessate: Mikhail Starshinov, Vicepresidente della Commissione Affari Interni della Duma di Stato russa, il Sen. Maurizio Gasparri, Vicepresidente del Senato, il Sen. Lucio Malan, Questore del Senato e membro della III Commissione permanente Affari Esteri del Senato e Deborah Bergamini, Vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati e Vicecapogruppo PPE al Consiglio d’Europa.

Renzi critiche da Marchionne

Renzi alle corde dopo le critiche di Marchionne

Anche le personalità più influenti dell’industria italiana si allontanano da Renzi, come nel caso del top manager Sergio Marchionne, storicamente molto vicino all’ex-premierI tempi in cui la Ferrari di Marchionne flirtava con il PD di Renzi appaiono lontanissimi: soltanto il 4 gennaio 2016, Marchionne, in occasione della quotazione della casa di Maranello a Milano, ringraziava pubblicamente il politico toscano per il proprio lavoro (poi ovviamente si sono visti i disastrosi risultati) e lo difendeva dalle critiche. Nella presentazione dell’entrata dell’Alfa Romeo in Formula 1 della scorsa settimana, il Marchionne ha invece mostrato evidenti segnali di rottura con il segretario del PD.  «Renzi ha perso qualcosa da quando non è più premier, ma questo è normale»; ha poi ribadito: «se si sia comportato bene o meno non saprei nemmeno dirlo: so che la sinistra sta cercando di definirsi come identità, è piuttosto penoso. Spero che si ritrovino». La mancanza di professionalità e di etica di questa sinistra, proprio alla vigilia delle elezioni, ha destato evidenti perplessità anche all’interno di Fca (Fiat Chrysler Automobiles), che è “decisamente filogovernativa”, come dichiarato dallo stesso dirigente; Renzi mostra oggi di non avere non soltanto più i numeri, ma neanche un’idea di come riconquistare la fiducia di tanti che, in passato, lo hanno ascoltato, e che oggi invece lo criticano apertamente. Soltanto pochi giorni fa, un’altra figura di riferimento Fiat, Lapo Elkann, ne aveva preso le distanze. «Si piace troppo, e questo è pericoloso per lui e per noi. È più provinciale di quanto sembra. Renzi non è un Macron, molto più preparato di lui: è un Micron. Meno personalismo e meno egocentrismo; meno voler parlare di tutto e di niente.» aveva dichiarato Lapo a 8 e mezzo, la trasmissione di La7 condotta da Lilli Gruber. Sembrano solo dei titoli di coda di un rapporto ormai logoro, fatto forse di accordi mai definiti o piani mai portati a termine. Marchionne, ieri, intervistato al Museo Alfa Romeo di Arese, ha voluto comunque precisare che vorrebbe « qualcuno che gestisca il Paese e una tranquillità economica nel contesto in cui operiamo; sono cose essenziali»; e che «non so nemmeno se l’ex presidente del Consiglio si ricandidi. Mi sembra invece che Silvio Berlusconi si ripresenti…»
problema migranti da risolvere nei paesi di origine

Il problema migranti va affrontato nei Paesi di origine

Il problema migranti? Va affrontato direttamente, quando possibile, nei Paesi di origine, ove nascono i flussi migratori. L’Italia, adottando la stessa politica miope dell’Europa, ha finora soltanto tamponato il problema con i centri di accoglienza, ma non ha mai compreso appieno che un problema epocale di queste dimensioni va risolto alla radice, proprio come sta avvenendo, in questi giorni, in Costa d’Avorio. I “Millenials” della Costa d’Avorio, sono sempre stati pronti a partire verso quei mondi che hanno potuto vedere soltanto in tv, anche se sono senza lavoro e senza alcuna aspettativa. Il Governo locale sta però lanciando una massiva campagna di informazione che mira a renderli edotti sui pericoli che incombono su chi intende migrare in Europa. Il messaggio è chiaro: «L’immigrazione clandestina è un suicidio. Non partite». Per convincere i ragazzi, è stato organizzato un concerto gratuito di una delle band più importanti del Paese, i Magic System, ed è intervenuto anche l’ex bomber del Chelsea Didier Drogba, che nel territorio ivoriano è considerato un mito. Fino a qualche tempo fa, anche chi aveva un lavoro veniva convinto a partire con molta facilità, in cerca di migliore sistemazione. Si rischiava, convinti che l’Italia e l’Europa fossero una sorta di ricca terra promessa ove tutto era consentito. «Sono vittime dei venditori di illusioni», ha dichiarato il locale ministro dell’Agricoltura, che spera di invertire la tendenza ed evitare l’incubo della schiavitù. Due settimane fa, infatti, un servizio della CNN reso noto in Costa d’Avorio ha mostrato i migranti messi all’asta come schiavi nei campi libici: sono almeno settemila gli ivoriani bloccati in questa difficile realtà. Da allora, le cose stanno lentamente cambiando, al grido di «No all’immigrazione clandestina», che viene da personaggi del mondo della musica e dello sport, così vicini ai giovani. La diaspora delle dinamiche migratorie dall’Africa vanno studiate e represse all’origine. In questo modo si può restituire la dignità a coloro che attraversano il deserto ed il mare, per poi andare a finire in schiavitù o in un centro di accoglienza. Si deve agire nei loro territori di origine, a volte devastati dalle guerre nell’impossibilità di assicurare loro una vita decorosa, così da reprimere questo fenomeno dai risvolti raccapriccianti. Se la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale di Cacao, e l’Europa è il primo consumatore ed importatore, è il caso di domandarsi perché questo Paese dell’Africa Occidentale – come tanti altri in tutto il continente – non possa, con il contributo UE, diventare un luogo dalle condizioni economiche e sociali accettabili.
Berlusconi si impegna ad aiutare gli anziani programma per le prossime elezioni

Le condizioni economiche degli anziani: una vera e propria emergenza sociale

Quali sono oggi le condizioni dei nostri anziani? Quali sono le condizioni economiche degli anziani… pessime, purtroppo, e non soltanto per possibili problemi di salute, ma anche per l’impossibilità di mantenersi e vivere serenamente ed in maniera decorosa solo con la propria pensione. Passando al setaccio le condizioni economiche degli pensionati, scopriamo il disastro. È l’ISTAT a lanciare l’allarme: le pensioni sono inadeguate a mantenere un dignitoso tenore di vita, e il rischio di povertà, di deprivazione materiale, di disagio abitativo e di degrado sono sempre dietro l’angolo. Secondo i dati ufficiali del 2014 (oggi, probabilmente, la situazione è ulteriormente degenerata), Il 23% delle famiglie in cui il percettore principale ha un’età maggiore di 65 anni, giudica “difficile” la propria condizione economica, e il 10% vive nelle condizioni di povertà relativa. Oltre la metà reputa pensante “il carico di spese per la casa”, e quasi il 14% dichiara di non avere soldi per curarsi o per comprarsi i vestiti. Sono numeri davvero scandalosi ed inaccettabili per qualsiasi Paese civilizzato: gli anziani rappresentano coloro che hanno lavorato per tutta la vita ed hanno contribuito allo sviluppo del Paese come noi non conosciamo, e che ora si ritrovano, per colpa del nostro sistema pensionistico, nell’impossibilità di mantenere una decorosa esistenza. Spesso, sono costretti ad affrontare spese mediche straordinarie, a causa dell’inefficienza del nostro sistema sanitario, ed hanno maggiori necessità rispetto ad individui più giovani, ma meno soldi a disposizione. L’unico a spezzare una lancia e dare voce al problema è stato Silvio Berlusconi: nelle recenti dichiarazioni, ha esternato il malcontento del proprio partito verso le pensioni attuali, ed ha denunciato l’impossibilità di vivere con una pensione troppo bassa. “Oggi nessuno anziano può vivere con una pensione minima di 500 euro” ha esternato il Cavaliere “è doveroso e indispensabile aumentare almeno a un milione di euro i minimi pensionistici. Nessun anziano deve essere escluso da questa misura, comprese le nostre mamme che hanno lavorato tutti i giorni a casa e che devono poter avere vecchiaia dignitoso. Se gli italiani ci faranno governare saranno questi i primi provvedimenti del nostro governo: è un impegno che prendo con voi”. Ha inoltre reso noto che nel governo di centrodestra “ci sarà anche un ministero per la terza età”. Potrebbe essere un importante punto di svolta?
Fondi Sviluppo paesi Africani

Fondi per lo Sviluppo dei Paesi Africani: non risolvono il fenomeno migratorio

Nonostante continuino a riproporsi casi di immigrazione clandestina sulle coste del Paese, il calo dei flussi è evidente: si parla di un -30% rispetto nel periodo gennaio – ottobre 2016 rispetto al medesimo periodo 2017. Ha giovato l’effetto degli accordi che l’Italia ha stretto con il Governo libico di Fayez al-Sarraj, che ha bloccato molte partenze grazie all’intervento della Guardia Costiera Libica. Affronteremo il tema dei Fondi di Sviluppo dei Paesi Africani, ma teniamo presente la realtà dei fatti. Negli ultimi giorni, il numero dei migranti illegali bloccati a Tripoli sono più di un migliaio: per loro è previsto l’affidamento alle agenzie dell’Onu che provvederanno al rimpatrio. Rimane tuttavia in piedi il problema degli sbarchi da Tunisia ed Algeria, spesso legati ad infiltrazioni terroristiche e criminali. Nell’ultima visita in Tunisia, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha evidenziato il problema delle migrazioni clandestine ed ha promesso il sostegno economico al Paese, con lo stanziamento di 40 miliardi dall’Unione Europea. Tajani, nel suo discorso ha evidenziato come il Mediterraneo debba essere visto come un ponte tra l’Europa ed il continente africano, e che noi europei abbiamo la responsabilità di non lasciare lo sviluppo dell’Africa a una Cina che non ha la stessa concezione del rispetto per l’ambiente, i valori democratici e i diritti umani. Un intervento del genere desta molte perplessità: il problema dell’immigrazione indiscriminata ed incontrollata, difficilmente verrà risolto in tempi brevi. L’idea di portare soldi in Africa, per favorire lo sviluppo dei Paesi dell’area mediterranea, sicuramente non contribuisce ad affrontare in modo diretto la questione. La storia recente mostra invece come l’Europa, basata su valori cristiani e sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ed il Nord Africa islamico, siano culturalmente troppo diversi per poter avere dei punti in comune per lo sviluppo armonico con una collaborazione attiva di entrambe le parti.

Fondi Sviluppo Paesi Africani

Lo stanziamento di fondi da parte dell’Unione Europea rischia solo di favorire le attività speculatorie o le aziende europee consolidate che operano nei territori africani. Nella peggiore delle ipotesi, potrebbero essere acquisiti da Governi africani instabili e corrotti, e riutilizzati in maniera occulta per attività non connesse con l’effettiva crescita dei Paesi. Difficilmente vedremo questi fondi “garantire lo sviluppo delle nazioni africane e il miglioramento delle loro possibilità di vita”, vale a dire stabilità politica ed economica, nuove imprese e posti di lavoro. Quindi, in che modo possono contribuire a ridurre i flussi migratori? Al netto del linguaggio diplomatico l’iniziativa suscita non poche perplessità. La Tunisia è uno dei Paesi che periodicamente riapre le rotte di migranti illegali (spesso criminali) puntando a rinegoziare al rialzo gli accordi con l’Italia. Continuare a dare alla Tunisia altri denari significherebbe incoraggiare tale attitudine. Difficile poi vedere una “nostra” civiltà che unisca un’Europa basata su valori cristiani e sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e un Nord Africa/Sahel islamici. Sono decenni che l’Occidente butta denaro in Africa e alla prossima elargizione di 40 miliardi di euro rischia di non raggiungere gli obiettivi sperati: cioè creare sviluppo per scoraggiare le migrazioni. Un po’ perché parte di quel denaro tornerà in Europa sotto forma di retribuzioni a società Ue coinvolte nei vari progetti di sviluppo e una parte importante finirà nelle tasche bucate e corrotte dei governanti africani. Anche nella migliore delle ipotesi, se avesse ragione Tajani nel sostenere che “ci vogliono 40 miliardi di euro per generare un effetto leva di 400 miliardi di euro”, nessun Paese africano assomiglierebbe comunque alla Svizzera prima dei prossimi 30/50 anni lasciando quindi intatte le ragioni che spingono molti a raggiungere illegalmente l’Europa, non tanto in cerca di lavoro ma di un solido welfare assistenziale. Secondo il presidente dell’Europarlamento gli investimenti produttivi in Africa sono la chiave per lottare contro l’emigrazione clandestina, oltre al rafforzamento del controllo delle frontiere. “Non è con le parole che si convincono i migranti a rimanere a casa loro, bisogna offrire loro la possibilità di avere una vita decente” ha detto Tajani. Affermazioni di buona volontà ma che suonano come utopie poco convincenti a chi conosce l’Africa. Sarebbe forse meglio destinare quella cifra a finanziare il rimpatrio di almeno una parte degli oltre 2 milioni di immigrati illegali giunti in Europa negli ultimi anni, dei quali 650 mila solo in Italia dalla rotta libica. Quanto ai paesi africani, la leva finanziaria potrebbe avere un senso come premio a chi non fa partire i propri connazionali invece di donare denari a pioggia a regimi che ci manderanno comunque i loro concittadini per poi chiederci più soldi per riprendersene indietro una parte. Resta infatti evidente che nessuna politica per l’Africa sarà credibile finché l’Europa non respingerà i migranti illegali in arrivo e non espellerà quelli già arrivati negando ogni aiuto agli Stati che speculano sull’immigrazione. In questo contesto sorprende che il ministro dell’Interno Marco Minniti abbia invitato a guardarsi “dai cattivi maestri, dagli apprendisti stregoni che dicono che c’è una mossa che risolve il problema immigrazione”. Minniti ha inoltre espresso il timore “che la democrazia italiana possa essere messa in discussione da un’onda populista”. Come se i partiti cosiddetti “populisti” non vincessero elezioni regolarmente e in modo democratico o proponessero regimi e dittature. Colpisce che un uomo di spessore come Minniti non si sia reso conto che l’unica vera minaccia alla libertà, alla democrazia e ai diritti in Europa è rappresentata dalla penetrazione islamica che anche il PD favorisce, non certo da quelle forze che vorrebbero arginarla.
elezioni Sicilia 2017 vince cdx con Musumeci

Elezioni in Sicilia 2017: VINCE MUSUMECI…sarà Bellissima!

Premessa la soddisfazione per la vittoria di Nello Musumeci alle Elezioni in Sicilia 2017, questo evento ci deve aiutare a capire cosa il popolo Italiano ci chiede! Io non posso certo passare per “renziano” ma tutto questo sparare su Renzi da parte di chi ha perso le elezioni in Sicilia mi da il voltastomaco. Non sarà stato un fenomeno 12 mesi fa ma non credo sia improvvisamente un “bimbominkia”. C’è chi ha perso più di lui e adesso canta vittoria per la sua sconfitta. Non sono certamente del PD ma se lo fossi non rimpiangerei i tempi della FIOM e della Cgil che dettano le manovre economiche, delle “patenti di democrazia” rilasciate dall’ANPI o da Libera, della politica estera indicata da Gino Strada o delle politiche sull’immigrazione decise da Saviano. In politica, come in ogni ambito, si vince e si perde, si fanno errori e si fanno anche cose serie e per bene. Se si governa male una regione o se comunque non ci si è fatti apprezzare dai cittadini si va a casa sconfitti.

Considerazioni sulle Elezioni in Sicilia 2017

A qualcuno è venuto forse in mente che l’Ex Governatore della Sicilia, Crocetta, possa aver scontentato i siciliani? Ed i grillini che pure hanno perso in maniera netta quando pensavano di vincere, si chiedano perché non hanno neppure recuperato voti dagli astensionisti, e riconoscano che pure loro sono un partito qualunque, che qualche volta ha vinto e questa volta a decisamente perso. Il centrodestra ha vinto perché Berlusconi è tornato al momento giusto e sopratutto nel modo giusto: rispettando i consigli e le indicazioni degli alleati e sopratutto del territorio, ed ha tenuto compatto il centrodestra. Dopo tante parole vengo al dunque e al “Nello” Presidente, un amico dalle “radici comuni” auguro buon lavoro per la sua Sicilia: sarà bellissima!
Elezioni Sicilia 2017 Nello Musumeci VINCE

Elezioni Sicilia 2017: Vince Nello Musumeci

Peggio del previsto i risultati delle elezioni regionali in Sicilia per il Partito Democratico, oramai alla deriva e pronto ad una vera rottamazione, nelle Elezioni in Sicilia 2017 Vince Nello Musumeci! Le critiche al “carrozzone” di Renzi erano solo un preambolo di un vero disastro, e di una strategia confusionaria ed inconcludente, degna dei peggiori dilettanti. Durante lo spoglio, il testa a testa tra Cancellieri e Musumeci ha contribuito a ridicolizzare i risultati della coalizione di sinistra, con un pietoso 25% circa. Ma ciò che sorprende, guardando di questo pietoso risultato, è che il candidato PD ha preso appena il 19%! La scelta di Micari ha avuto sicuramente un peso significativo in questa disfatta, compresa la mancanza di idee e di proposte dall’intero partito. Dopo la bocciatura di Crocetta e la bocciatura di Grasso, la scelta del candidato PD è sembrata solo un futile ripiego, sul quale non ha creduto nessuno, neanche i diretti interessati. Come può un partito che è primo in Italia e leader di Governo ha gestire in maniera così penosa la campagna elettorale, passando nel giro di cinque anni dalla vittoria di Crocetta ad una clamorosa Caporetto? Il problema non è solo legato alla scissione della sinistra o alla mancata candidatura di Grasso; si ricollega invece all’andamento catastrofico che vede per il partito di sinistra, in questi ultimi anni, un susseguirsi di insuccessi, con un centrodestra che già da due anni è tornato competitivo, con la perdita di Roma e Torino alle comunali 2016, con la sconfitta dell’ultimo referendum costituzionale. Perché il PD aspetta ancora e non rottama il segretario Matteo Renzi? L’ex-premier è sicuramente il principale colpevole, che continua a ricorrere le idee populiste di Lega e Movimento Cinque Stelle, portando la lotta su un terreno a loro più consono. Il PD perde l’identità europeista e riformista, diventando l’ennesimo “carrozzone” di Renzi: un’accozzaglia di nomi più o meno riciclati, che viaggia senza una meta e senza un vero obiettivo.
Isis minaccia il calcio, Russia 2018

Terrorismo islamico Isis minaccia i Mondiali di Calcio Russia 2018

Nonostante i recenti attacchi terroristici continuino a seminare il panico nelle grandi città europee, il califfato studia nuove strategie del terrore. Il Terrorismo islamico dell’Isis minaccia i mondiali di calcio Russia 2018, dopo il fallimento della propaganda e dello Stato Islamico, punta a creare il panico durante… i grandi eventi calcistici. Il calcio è diventato oggi un nuovo strumento di propaganda mediatica del Califfato, puntando alle minacce terroristiche per i prossimi Mondiali di Calcio in Russia, nel 2018, lo stesso Califfato ha l’intenzione di scatenare i lupi solitari che spesso sentiamo citati negli attentati che stanno insanguinando le capitali del mondo. L’idea non è sicuramente nuova: da anni, i grandi eventi sportivi hanno richiamato l’attenzione di terroristi e fanatici. Durante le Olimpiadi di Monaco nel 1972, un commando palestinese uccise undici atleti israeliani; nel 1996, ad Atlanta, l’attivista di Christian Identity Eric Rudolph ha piazzato un ordigno che, solo per caso, non ha provocato una strage. La minaccia di Al Qaeda nei mondiali di calcio nel 2006 e nel 2010 sono state sostituite, nel 2014 in Brasile, a avvisaglie legate ai problemi interni al Paese sudamericano; nel 2016, per le olimpiadi di Rio, sono arrivate le prime intimidazioni di una cellula dell’Isis in Brasile. Nei prossimi mondiali in Russia l’incubo terrorismo proviene principalmente dalle cellule jihadiste cecene, anche se l’Isis ha già minacciato il Paese ospitante in maniera ufficiale, diffondendo sul portale web Al Wafa Media un’immagine di Messi e Cristiano Ronaldo insanguinati, con scritte inneggianti a possibili azioni di violenza durante gli eventi sportivi. Immagini simili si sono diffuse anche su Telegram, strumento di propaganda molto popolare tra gli adepti del califfato. Le minacce non risparmiano nessuno: è il caso di Didier Deschamps, attuale CT della nazionale di calcio francese. Al Wafa Media ha diffuso un fotomontaggio che ritrae il tecnico transalpino prigioniero e sotto tiro dell’Isis, ritenuto colpevole di rappresentare la squadra di calcio di una nazione nemica dello Stato islamico, e di non aver convocato, negli ultimi anni, giocatori di origine magrebina. La popolarità del calcio amplifica le possibilità terroristiche dell’Isis in maniera esponenziale, se consideriamo il continuo susseguirsi di eventi calcistici (Campionato, Champions League e coppe) e il numero di tifosi che questo sport riesce a richiamare, anche in Italia.  Il mondo Occidentale continua a sottovalutare la minaccia costante del Terrorismo Islamico, cercando motivazioni diverse per non affrontarlo.